Le tante frecce dell’arco trumpiano
A pochi giorni dalle elezioni presidenziali Stefano Cingolani ha provato ad individuare, in un approfondito articolo pubblicato su Il Foglio di sabato 31 ottobre («I guardiani di Trump»), i possibili sostenitori di Donald Trump nell’imminente tornata elettorale. Il presidente in carica, nonostante i sondaggi lo diano in svantaggio rispetto al rivale democratico, avrebbe ancora frecce al suo arco. Potrebbe contare sull’appoggio del settore militare-industriale (nonostante abbia più volte litigato con il Pentagono, estromesso una serie di generali dalla sua Amministrazione e attaccato apertamente di corruzione uomini dello Stato maggiore) in virtù degli accordi per le forniture belliche a Paesi come l’India o l’Arabia Saudita, della scelta assertiva avviata nel Pacifico e della pianificata politica di armamento. Potrebbe contare «sui lupi di Wall Street che finora hanno continuato a correre più veloci del coronavirus» visto che Joe Biden «ha
promesso di tassarli e tartassarli per lisciare il pelo alla sinistra del partito». «La Apple ha sempre finanziato in modo equanime Democratici e Repubblicani, ma Trump si è spinto fino a Austin, roccaforte liberal del Texas, per visitare la fabbrica di Macbook lodando la scelta di investire negli States fatta da Tim Cook». I gruppi del settore, nonostante la manifesta opposizione di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post che Trump chiama sarcasticamente Amazon Post, potrebbero avere apprezzato i tagli alle tasse e il rialzo conosciuto dalle quotazioni del Nasdaq in questi quattro anni. Potrebbe contare sull’appoggio della lobby delle armi private, di gruppi farmaceutici rafforzatisi nella fase dell’emergenza sanitaria, delle aziende petrolifere/energetiche e delle grandi industrie automobilistiche. Trump ha litigato con la Ford perché ancora troppo “messicana”, ma ha apertamente lodato la Fiat Chrysler, e soprattutto ha condotto una campagna contro le auto
tedesche che certo ha fatto piacere ai big nazionali del settore. «Molte altre lobby sono pronte a votare “con il portafoglio”. Ma ci sono anche gruppi di pressione che ragionano in base a scelte ideali o interessi di fondo, si pensi solo all’elettorato ebraico: come influirà l’accordo tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein? (“una svolta storica” secondo la Casa Bianca)».
Ma tra le tante, presunte o reali, frecce del suo arco ce ne é una che già quattro anni fa è risultata decisiva: la classe operaia. « Lunedì scorso il presidente ha attaccato Joe Biden come nemico della classe operaia: “E’un globalista puro e duro che vuole spazzare via le vostre acciaierie, chiudere le vostre fabbriche, uccidere i vostri posti di lavoro nelle miniere di carbone e per mezzo secolo ha sostenuto ogni orribile, terribile, ridicolo accordo commerciale”, ha tuonato The Donald a Lititz, una cittadina nel cuore della Pennsylvania».
Non sappiamo chi sarà il futuro presidente degli Stati Uniti d’America, sappiamo che il voto della classe operaia, ancora una volta, verrà utilizzato da frazioni borghesi che non possono non esprimere, chiunque sia il vincitore, una politica volta a perpetuare lo sfruttamento capitalistico e la natura di classe del loro dominio.
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