LORO E NOI - 19/08/2020
 
1920, “Miracolo sulla Vistola”: il prezzo del mito

La Stampa ha ospitato (15 agosto, edizione online) un intervento del premier polacco Mateusz Morawiecki, in cui commemora la battaglia di Varsavia del 1920, dove le truppe polacche sconfissero l’Armata Rossa della Russia bolscevica in marcia a sostegno delle forze rivoluzionarie nell’Europa occidentale, Germania in primis.
La borghesia polacca vuole far pesare i propri meriti sul tavolo europeo e non stupisce, quindi, che il pezzo grondi retorica e forzi la realtà storica fino a produrre autentiche bestialità.
L’offensiva dell’Armata Rossa di Trotsky - sviluppata con il dichiarato intento di appoggiare il ciclo rivoluzionario internazionale, di cui la Russia bolscevica era e si considerava parte integrante e inseparabile (il degrado del “socialismo in un solo Paese” era ancora di là da venire), con i vertici bolscevichi scrupolosamente attenti a contrastare tra le truppe russe ogni manifestazione di odio nazionalista anti-polacco in nome della salvaguardia dell’essenza di classe della strategia politica internazionalista in cui l’operazione militare si inscriveva - viene disinvoltamente ricondotta alle spartizioni della Polonia di fine XVIII secolo. Un continuum di oppressione e logica di potenza che il nuovo Stato polacco, sbocciato infine dopo la Prima guerra mondiale come punto di arrivo di un processo di democratizzazione «malgrado l’imperialismo», avrebbe finalmente spezzato a beneficio dell’intera Europa.
Tutta la travagliata dinamica imperialistica su scala internazionale, che ha consentito alla Polonia di ricevere sostegni (ovviamente interessati) per il proprio progetto nazionale, viene allegramente azzerata, lasciando solo il profilo avanzato e moderno dello Stato polacco e del suo spazio politico (un profilo incredibilmente edulcorato, con tutti i tratti nazionalisti, classisti, clericali e antisemiti clamorosamente taciuti).
Insomma, da una parte una piccola nazione, compatta intorno alla propria identità illuminista e democratica, incontaminata da qualsivoglia legame con le grandi potenze e il loro gioco, dall’altra «il potente esercito bolscevico», punta di lancia del «mondo totalitario della dominazione sovietica».
E pazienza se l’Armata Rossa era profondamente gravata da fragilità, carenze, limiti, se il dispositivo militare che arrivò stremato alle porte della capitale polacca assomigliava assai poco al rullo compressore che la retorica dei Davide e Golia resuscitati alla bisogna ama raffigurare.
E pazienza se Stalin e il gruppo dirigente intorno a lui portano gravi responsabilità nell’aver intaccato l’efficacia dell’operazione militare bolscevica. Nello slancio di rivendicare, a fronte delle borghesie europee, meriti epocali per la propria borghesia, il capo del Governo polacco arriva addirittura a distorsioni grottesche della Storia. La spartizione dell’Europa con l’Urss, alla fine del secondo conflitto mondiale, avrebbe potuto essere evitata se Roosevelt avesse tenuto conto dei piani dell’intelligence del Governo polacco in esilio. Ogni analisi dei reali interessi imperialistici alla base dell’architettura di Yalta, la grande lezione di Arrigo Cervetto sulla vera spartizione dell’Europa, tutto deve insomma lasciare spazio al mito dello Stato polacco, unica, vera sentinella della libertà europea, unica forza del bene capace di comprendere per tempo l’impero del male comunista e combatterlo con ineguagliata coerenza. Sappiamo che sarebbe una pia illusione attendersi da Morawiecki e compari un doveroso ringraziamento allo stalinismo, senza il quale mai avrebbero potuto imbastire la narrazione del totalitarismo comunista nella sua continuità dal 1920 al 1989. Senza l’appropriazione dei richiami, dei simboli, dei nomi della rivoluzione comunista da parte della controrivoluzione stalinista, mai avrebbe potuto prendere corpo, con così nefasta fortuna, la favola intossicante del comunismo nato, cresciuto e fallito in un mare di sangue, oppressione e sfruttamento. Mai così tanti figuri scaturiti dal ventre politico della borghesia avrebbero potuto vantare i meriti di una crociata in nome della libertà e occultare così efficacemente la propria comunanza di caratteri sociali con il capitalismo di Stato spacciato per comunismo.
Eppure, in questo pantano di mistificazioni e retorica, qualcosa di autentico traluce.
È vero, la borghesia polacca può vantare un grande merito presso la borghesia di tutti i Paesi e verso il capitalismo nel suo insieme. Ha svolto un ruolo cruciale nel fermare l’autentica offensiva della rivoluzione comunista (tutt’altra cosa rispetto alla spartizione imperialistica attuata coinvolgendo coerentemente la Russia stalinista con il patto Ribbentrop-Molotov, prima, e con Yalta, dopo).
Ha oggettivamente dato una mano decisiva nel sospingere le forze che, nel contesto russo, premevano per un ripiegamento di fronte all’orizzonte strategico della rivoluzione internazionale.
Se poi le altre borghesie riconosceranno o meno questo merito, e che valore eventualmente gli attribuiranno, è affare loro, è questione tra borghesi. L’importante è che i proletari non si bevano queste squallide caricature storiche, senza classi e lotta di classe, senza profondità di analisi sociale, senza insegnamenti per il futuro che non sia l’accettazione passiva del capitalismo come insindacabile ordine naturale.
Da parte nostra, possiamo affermare che i proletari coscienti non dimenticheranno mai il ruolo svolto dalla borghesia polacca.