LORO E NOI - 15/07/2020
 
Rifrittura mista: il triste menù degli esperti

La Lettura, supplemento culturale del Corriere della Sera, ha ospitato il 12 luglio un dialogo con il politologo britannico Colin Crouch.
Il tema non era da poco: il rapporto, alla luce della pandemia, tra competenze specialistiche e processo decisionale democratico.
A Crouch è stata proposta la “soluzione” offerta da David Runciman, altro politologo di fama internazionale: una «divisione del lavoro fra esperti e cittadini» con i primi ad occuparsi delle questione più complesse e internazionalizzate (finanza, scambi commerciali, sicurezza) e ai secondi i temi locali.
Questa allegra suddivisione, che non sembra tenere in alcun conto la società reale, un capitalismo evoluto pienamente allo stadio imperialistico e che conosce ormai colossali processi di concentrazione economica, in cui è impossibile l’esistenza diffusa e determinante di “esperti” sottratti all’influenza di questi formidabili interessi economici, così come la possibilità di un potere politico che non sia espressione della classe dominante e delle sue dinamiche interne, avrebbe meritato solo un’omerica risata. Invece Crouch ha risposto meditabondo. Prima ha espresso le sue riserve su una divisione così «netta», poi – bontà sua – ha riconosciuto che molti esperti hanno interessi personali in settori come la finanza (riconoscimento comunque ampiamente inadeguato, come se la determinazione di classe si risolvesse nella somma di singoli «interessi personali»), per concludere con la sua controproposta: «comitati misti», con esperti e non, che potrebbero fornire ai Governi e all’opinione pubblica pareri «in modo aperto e trasparente».
Dopo questa breve ricognizione del livello del dibattito “operativo” ai massimi livelli dell’attuale riflessione politica borghese ci si ritrova un po’ sconcertati. Con la massima disinvoltura, questi illustri professori hanno compiuto – con l’utilizzo del termine “cittadino” senza alcuna preoccupazione di attribuire ad esso un significato storico e sociale, senza alcuna cura di rilevare il contenuto di classe, il profilo socialmente contraddittorio del concetto di cittadinanza nel quadro politico della forma democratica – un passo indietro di secoli nella storia dello stesso pensiero politico borghese. I soloni della politologia, le teste pensanti della riflessione politica borghese sono in grado di sfornare solo queste ricette istituzionali da quattro soldi, questa puerile ingegneria sociale? Davvero il pensiero politico borghese non può andare oltre i confini di questa caricaturale repubblica delle idee?
È difficile, di fronte a questa sconfortante pochezza spacciata per alta meditazione, definire con precisione a che punto l’autoreferenzialità di ceti intellettuali accucciatisi comodamente all’ombra di un insindacabile ordine capitalistico sia ormai il riflesso di una stagnazione ben più ampia di una classe e di un sistema che ormai da tempo hanno esaurito ogni funzione storica progressiva e sempre più si sono ripiegati sulla dimensione della superficialità e della banalizzazione come arma oggettiva nell’arsenale della conservazione sociale.
Rimane il fatto che il bilancio di oltre un secolo di riformismo preme come un macigno sui processi di elaborazione dei vari laboratori ideologici della borghesia. Dopo tutti gli esperimenti riformisti di matrice socialdemocratica, dopo l’amara parabola del cooperativismo, dopo il gradualismo del fabianesimo e il corporativismo fascista, dopo il mito delle azioni da una sterlina e dei soldini elargiti da Henry Ford perché anche gli operai si potessero comprare l’auto facendo quadrare così il cerchio del capitalismo, dopo stagioni di interventismo statale in ogni possibile forma ideologica, dopo i fasti dell’economia sociale di mercato e del solidarismo cattolico, dopo il proliferare di terze vie e di capitalismi dal volto più o meno umano, le contraddizioni di fondo di questo sistema sociale sono più che mai presenti e laceranti. Diseguaglianze sociali e polarizzazione della ricchezza non si stancano di segnare nuovi picchi, disoccupazione e sempre più accentuate precarietà attraversano drammaticamente i vecchi capitalismi occidentali mentre le nuove tigri del mercato mondiale costruiscono puntualmente le proprie fortune sul selvaggio sfruttamento del proletariato e delle classi subalterne. Lo scenario globale, lungi dall’essere stato pacificato dal trionfante binomio di mercato e democrazia, è segnato da guerre e crescenti tensioni. Generazioni di bambini colpevoli solo di essere nati dalla parte sbagliata del mondo devono affrontare un futuro di dolore, distruzione e privazioni mentre il mercato degli armamenti è sempre più vivace e ricco di innovazioni. Di fronte a tutto questo, e sulle macerie di una storia intera di riformismi falliti, il moderno riformismo ha in verità una sola carta: negare l’oggetto stesso delle proprie proposte di riforma; non potendo più nemmeno coltivare l’illusione che il capitalismo sia riformabile, fare finta che il capitalismo non esista. Ed ecco, quindi, il paesaggio intellettuale della borghesia popolarsi come d’incanto di cittadini scevri da ogni determinazione e connotazione di classe. Ecco i comitati, liberi da ogni influenza economica e sociale, consigliare opinioni pubbliche e Governi incontaminati dalla presenza di centri di potere economico e da oggettivi conflitti di interesse. Il tutto nel nome della ricerca di quel mitico bene comune il cui raggiungimento sarà possibile una volta escogitata e applicata la formula giusta per dare voce alla cittadinanza nel suo insieme. Finalmente le menti della politica borghese hanno partorito un riformismo che non può fallire, perché non ha più niente da riformare. Come le iniziative dello psicologo aziendale nella gestione del personale e delle tensioni sul luogo di lavoro si risolvono spesso in fantasmagoriche boiate proprio perché devono dare per scontati, accettare come un dato di fatto, un’organizzazione sociale e un modo di produzione che sono alla radice dei problemi che vorrebbero risolvere così le trovate dei politologi di fama scontano ormai il limite terribile di non poter più andare alle radici sociali e di classe delle contraddizioni che vorrebbero affrontare. Il loro respiro diventa giocoforza corto. La portata si rattrappisce e tutto assume il sapore e gli odori sgradevoli di una rifrittura senza fine. Cittadino e comitato sono parole che un tempo hanno rivestito la forza di classe di una borghesia rivoluzionaria. Oggi sono il balbettio di una classe che non può nemmeno più riconoscere il proprio mondo.