LORO E NOI - 17/06/2020
 
Con parole loro

Se noi sosteniamo che, nel perdurare del dominio del capitale, ogni Governo, soprattutto nei confronti delle tematiche di fondo dei rapporti economici e dell'utilizzo della forza-lavoro, non potrà che essere un Governo borghese, i benpensanti del capitalismo quale fine ultimo della Storia ci accusano di essere ciecamente legati ad una lettura ideologica vecchia, sorpassata, fanaticamente conflittuale e divisiva.
Se loro, con parole loro, lo constatano, allora va bene.
Leggere per credere:
sul Corriere della Sera del 16 maggio si plaude alla revisione che, aumma aumma, il Governo Conte avrebbe apportato al cosiddetto decreto Dignità (di per sé una modestissima limatura del famigerato Jobs Act), operando così un pieno riallineamento al «principio di realtà» della «buona flessibilità» nonché «al lungo e omogeneo ciclo di provvedimenti per il mercato del lavoro, che erano andati dal pacchetto Treu (1997) fino al jobs act (2015) con 11 governi diversi».
Non potremmo dire di meglio: da decenni (da sempre, si può affermare sulla scala della continuità capitalistica) la politica delle varie compagini governative, al di là di ogni colore, variante borghese, fraseologia e sloganistica, ha puntualmente manifestato la medesima matrice di classe.
Come spiegare allora questo fenomeno: se proviene da loro, a modo loro, diventa accettabile una constatazione altrimenti sdegnosamente rifiutata.
Il fatto è che la migliore, la più salda ed efficace forma di dominio di classe è quella che appare priva di connotato di classe.
Ben venga, quindi, una continuità presentata come espressione di neutrale buonsenso, di un ordine naturale e senza alternative. Se una politica governativa aderisce senza tentennamenti od incrinature agli interessi dei maggiori e più influenti gruppi capitalistici va salutata, dal loro punto di vista, come una coerente azione a favore dell'interesse generale. L'interesse del capitale, per loro, ideologi del capitale, è l'interesse della società.
Se questa continuità è invece illuminata nella sua natura di classe, ecco che i conti non tornano. Un ecclesiastico brasiliano, Helder Camara, un tempo ebbe modo di osservare che se si limitava ad assistere i poveri veniva definito santo mentre se chiedeva perché i poveri fossero poveri veniva bollato come comunista.
A maggior ragione, quindi, figuriamoci quanto fastidio possono suscitare le nostre parole. Quanta ostilità possono generare nei buoni borghesi e nei loro servitori. Quanto possiamo stare sulle scatole noi, che non chiediamo perché il proletariato è sfruttato, perché il lavoro umano è merce, perché il profitto calpesta sistematicamente ogni valore e ogni diritto emerso nella storia della civiltà, ma indichiamo perché tutto questo avviene, perché tutto questo non può non avvenire nel capitalismo.
E riaffermiamo la necessità di lottare per superare la preistoria del genere umano.