Quando la borghesia dà spazio alla voce dell’operaio
Gli attacchi della borghesia italiana, che intende approfittare dell’emergenza coronavirus per peggiorare ulteriormente salari e condizioni di lavoro, sono iniziati.
Il presidente di Confindustria Piemonte Fabio Ravanelli ha lanciato l’appello ai suoi omologhi del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia Romagna, acchè delineino un fronte unitario atto a chiedere la solita “responsabilità” a lavoratori e sindacati a fronte della proposta di tenere gli stabilimenti aperti anche ad agosto, facendo saltare a piè pari le ferie estive ai dipendenti.
È come in ogni campagna antioperaia che si rispetti, quando la partita entra nel vivo, non può mancare l’intervista al buon operaio aziendalista, che col tono pragmatico di chi non si perde in fastidiose disquisizioni di principio, dà ragione all’azienda.
E se l’operaio dà ragione all’azienda, quei sindacalisti, quei delegati che vorrebbero impostare un piano di difesa, tacciano e pensino piuttosto a dare il loro contributo “responsabile” all'uscita dalla “crisi”.
questo lo spirito dell’intervista su La Stampa dell’11 giugno ad Enrico, un operaio carrellista delle carrozzerie di Mirafiori il quale è ben contento di porre le ferie agostane in secondo piano rispetto al ritorno allo stipendio pieno, dopo mesi di cassa integrazione a 500 – 600 euro a causa del coronavirus. «Lavorare è indispensabile. Dopo tanti mesi, se mi chiedessero di non fare le ferie ad agosto sarei contento» dice Enrico, «Ho delle trattenute e in questi mesi di cassa integrazione arrivo a guadagnare 500-600 euro al mese. Troppo poco, mi serve lo stipendio pieno. Anche perché sono l’unico a lavorare in famiglia».
Enrico è stato messo in cassa integrazione durante l’imperversare della pandemia poiché, avendo 58 anni e problemi di salute, l’azienda, bontà sua, non voleva rischiare di esporlo al contagio. «Credo che saranno pochi a lamentarsi se c’è lavoro – conclude il metalmeccanico – Il problema è la crisi, non il darsi da fare se c’è bisogno. Le possibilità di andare al mare non ci sarebbero comunque, troppo costoso. Alla fine meglio così, è più utile per tutti».
Una sintesi perfetta del regresso che l’assenza della conflittualità proletaria ha causato negli ultimi anni, nonché l’avverarsi del sogno di molti imprenditori: l’operaio che accetta senza fiatare la narrazione dell’ennesima crisi, e, con una punta di malcelato disprezzo verso chi anela in tempi difficili a qualcosa di più del proprio annullamento umano nella prigione del casa-lavoro-casa, impartisce lezioni di vita pratica, escludendo naturalmente da ogni ragionamento l’azione rapace dell’imprenditore.
Alla fine dunque l’ennesimo sacrificio del lavoratore diventa magicamente più utile «per tutti». Sia quindi per l’imprenditore che si intasca i proventi di quel sacrificio, sia per il lavoratore che, per avere uno stipendio con cui non boccheggiare, non può godersi un po’ di riposo al mare perché il padrone non gli concede le ferie e perché, se anche gliele concedesse, non lo paga a sufficienza per potersi permettere il soggiorno.
Vien alla mente, a questo proposito, le parole della Canzone dell’Operaio Fascista, cantata da Carlo Buti, dove un metalmeccanico che parla in prima persona, descrive la sua bellissima giornata.
Egli si sveglia «al suon della campana mattutina» e si «affretta per andare all’officina, luce di vita fonte di lavoro».
Un’officina dai tratti metafisici, la cui «opera che ferve attenta e poderosa» è a solo beneficio della Patria (altra entità metafisica) e non di un imprenditore che ne trae evidentemente profitto. Il nostro operaio, dopo aver lavorato con onesto vigore tutto il santo giorno, torna a casa «fiero e contento quasi a prima sera», dai figli che aveva lasciato ancora dormienti la mattina, «tranquillo d’animo» poiché nella casetta sua «non manca il pane».
Insomma, svegli all’alba, lavorare sino al tramonto e ringraziare l’azienda poiché non ti fa morire di fame.
Un modello di vita alienante, brutalizzante, che una parte importante della borghesia italiana sarebbe ben felice di rispolverare.
|