LORO E NOI - 30/04/2020
 
I conti senza l’oste, piccolo borghese

I richiami all’unità, all’“insieme ce la faremo”, al “tutti devono fare la loro parte”, al sacrificio comune in nome del tricolore italiano in tempi di coronavirus si sprecano.
Quante volte ascoltiamo frasi come “siamo tutti sulla stessa barca”, “se la casa va a fuoco bruciamo tutti”, “il virus rende tutti uguali”, stucchevoli nel loro estremo interclassismo, nella loro retorica da quattro soldi.
Tutti saremmo chiamati ai sacrifici, ma al dunque i sacrifici di alcuni sarebbero ingiustificati rispetto ai sacrifici di altri, soprattutto se in pericolo c’è il guadagno di qualche frazione borghese.
E così, all’indomani della dichiarazione del premier Conte di calmierare il prezzo delle mascherine, ecco emergere la protesta dei farmacisti, proprietari di farmacie, che vedono in perdita la vendita di questa merce.
Il 27 aprile la versione online del quotidiano La Stampa riporta la notizia della protesta di questi piccolo borghesi, i quali contestano con forza tale decisione poiché il costo al quale loro acquistano le mascherine risulta superiore a quello di vendita. Lamentano il fatto che lavoreranno in perdita del 50 per cento, sulla vendita di questo prodotto. Una cosa intollerabile, e così per “autotutelarsi” molte farmacie hanno sospeso la vendita di mascherine.
Fino a quando i sacrifici sono richiesti ai salariati con pretese di tempo aggiuntivo di lavoro non retribuito, rinuncia alle ferie, rinuncia alle pause in nome della “crisi” e del sacrificio comune, allora tutto bene, tutto è lecito e necessario. Quando invece viene chiesto di rinunciare al guadagno sulla vendita di una merce (tra l’altro di fondamentale importanza per la sicurezza collettiva) allora la cosa si fa seria, bisogna protestare con forza e risolutezza.
Ogni attività economica, qualunque essa sia e in qualunque momento si esercita, deve avere il suo guadagno, il suo profitto.
È bene che coloro chiamati a rinunce e sacrifici lo tengano a mente.