LORO E NOI - 12/03/2020
 
Chi è causa del suo mal pianga se stesso

Dacché l’emergenza coronavirus in Italia è entrata nella fase attuale, non si contano più i media borghesi che lanciano i propri strali contro gli “irresponsabili” che infrangono i divieti e che ignorano le raccomandazioni lanciate dal Governo in fatto di limitazioni dei contatti sociali, e che più in generale, ammassandosi nelle vie della movida o prendendo d’assalto i supermercati, ignorano le più basilari regole del buon senso, che dovrebbero essere dettate dall’appartenenza ad un corpo sociale sul quale il comportamento individuale, specialmente in tempi d’emergenza, può avere un impatto significativo. In data 7 marzo, il Fatto Quotidiano, lancia l’allarme: «Mentre i medici delle terapie intensive lombarde chiedono, in una lettera al presidente Fontana, "misure drastiche o sarà calamità sanitaria", continuano a verificarsi situazioni di assembramento e affollamento per shopping, attività ludiche, ritrovi. I luoghi della serata milanese, tra abbracci, baci, strette di mano, nessuna distanza di sicurezza, nonostante le indicazioni diffuse da istituzioni e personale sanitario».
L’8 marzo, a seguito dell’emanazione del decreto che poneva in isolamento l’intera Lombardia unitamente ad altre 14 province di altre regioni settentrionali, il premier Conte ha fatto appello affinché le misure disposte venissero rispettate: «Dobbiamo aderire tutti, non dobbiamo pensare di essere furbi». La sera prima infatti, a poche ore dall’entrata in vigore del decreto, che poneva rigorose limitazioni alla libertà di movimento, migliaia di persone potenzialmente infette prendevano d’assalto i treni per fuggire dal Nord, e riversarsi nel Meridione non ancora così investito dall’epidemia.
la Repubblica del 10 marzo parla chiaramente di «furbetti della quarantena», e riferisce di «almeno venticinquemila che nel weekend e ancora ieri sono fuggiti con ogni mezzo dalle regioni del nord per far ritorno a casa al centro-sud, ma anche in Toscana e Liguria», numeri che «danno l’immagine plastica di quanto la moral suasion non basti a convincere le persone, soprattutto i giovani a rimanere a casa».
Certamente, da un lato, verrebbe da chiedersi come può la società interiorizzare l’idea di pericolo, quando per contenerlo, lo Stato borghese ha adottato finora una lunga sequenza di misure contraddittorie: scuole e biblioteche chiuse lasciando però aperti supermercati, logistiche e fabbriche, chiusura dei bar (ma solo dopo le 18:00) lasciando aperti però i fast food, e ancora raccomandazioni di stare ad un metro di distanza quando si parla col vicino di casa mentre si è continuato a stare fianco a fianco con il proprio collega nella catena di montaggio. Messaggi così contrastanti e incoerenti non possono che generare, come ovvia conseguenza di metodo, la stessa incoerenza nella percezione dello stato di allerta, che si traduce in una diffusa leggerezza nell’affrontarlo. Tuttavia, a monte di tutto ciò, va rilevato come sia proprio lo stesso capitalismo, specialmente nella sua fase più matura ed in assenza di una lotta di classe generalizzata che ne contenga i tratti più barbari, a iniettare nella società dosi da cavallo di individualismo, a forgiare le menti su concetti quali l’autoaffermazione, la competizione votata al successo individuale e l’elevazione dell’edonismo più squallido quale fine ultimo dell’esistenza umana. È proprio la società borghese, giunta nell’epoca del suo imputridimento, a spingere verso una generale infantilizzazione dell’intero corpo sociale. Infantilizzazione che finisce spesso per travalicare i confini di classe: non è infatti solo la stragrande maggioranza della classe operaia a vivere nella totale deresponsabilizzazione sociale, ma anche interi settori della borghesia. Non è un caso se anche la classe dominante sta andando incontro a notevoli difficoltà nel riuscire a formare quadri all’altezza dei propri compiti storici. Ora, lo Stato, massima espressione politica della classe sociale artefice della capillare diffusione dell’individualismo più aspro, vorrebbe che d’incanto la società si comportasse secondo l’egida di una coscienza collettiva. È quello stesso potere borghese che proclama legislazioni straordinarie in nome della scienza a ritagliare margini di privilegio, deroghe e vie traverse per le più cospicue esigenze della produzione e del mercato. Gli stessi soloni che fustigano i “furbetti” sono prontissimi allo strappo alla sacra regola della salute collettiva quando c’è da accontentare i “furboni” del capitale, quando c’è da consegnare puntualmente, virus o meno, la classe operaia al suo fondamentale sfruttamento quotidiano. Le inadeguatezze, la fragilità del sistema sanitario di fronte all’epidemia sono il frutto di anni di “furbe” politiche al servizio del profitto. “Furbetti” e “furboni” sono tutti figli legittimi, a loro modo, della società capitalistica. Che siano additati alla pubblica condanna o premiati con il lasciapassare universale della politica borghese è questione di forza, non di morale.