LORO E NOI - 12/02/2020
 
Populismo chic

C’è momento e momento.
C’è un momento per lanciare alte grida di battaglia contro i “poteri forti”, per rappresentarsi come verace espressione del popolo lavoratore afflitto da multinazionali e oppresso dalle istituzioni lontane dai bisogni della “gente”.
E poi c’è un momento per intrecciare proficue relazioni con i suddetti poteri forti, intercettarne le esigenze e ottenerne il sostegno.
C’è un momento per lamentare l’ostracismo radical-chic e sfoggiare la propria fiera estraneità dai salotti buoni della borghesia e c’è un momento per agganciarsi saldamente all’orbita del grande capitale.
La politica borghese vive anche di questi tempi e di questi passaggi, riversando in genere la retorica “anti-sistema” sugli elettori proletari e coltivando sostanziosi legami con le frazioni borghesi in maniera più discreta e meno sguaiata.
Che formazioni politiche come il PD o Italia Viva abbiano impresso nel cuore della loro ragione sociale la tutela di corposi interessi borghesi è un dato palese. Ma la profonda natura borghese filtra puntualmente anche tra le pose plebee e i barriti populisti dei capintesta del baldanzoso sovranismo di oggi. Giancarlo Giorgetti, considerato una delle teste pensanti della Lega, raccomanda esplicitamente di curare maggiormente i «ceti borghesi» (La Stampa, 28 gennaio).
Ma è lo stesso Salvini a non lasciare dubbio alcuno su quali siano le componenti sociali intorno a cui deve imperniarsi il ruolo di rappresentanza della Lega.
Dopo essersi fatto portavoce delle preoccupazioni di multinazionali come ArcelorMital o Coca Cola, il leader anti-globalista ha illustrato efficacemente come sia intenzionato a occupare il tempo da trascorrere all’opposizione: «Studio, incontro amministratori delegati, imprenditori, cardinali» (La Stampa, 9 febbraio).
Che il verbo studiare vada inteso come la costruzione di un profilo politico credibile per il grande capitale, lo conferma il prosieguo dell’intervista. Il vanto per i leghisti – secondo il loro “capitano” – è quello di essere diventati «interlocutori credibili» di ambasciatori e premier, che Salvini dichiara di incontrare più oggi «che quando ero ministro».
Siamo di fronte ad una svolta nella natura di classe di questo partito, all’abbandono di una sua originaria vocazione rivoluzionaria?
Assolutamente no.
La Lega è un partito borghese sia quando tuba con amministratori delegati e bacia l’anello di principi della Chiesa, sia quando proclama “prima gli italiani” e indirizza il disagio proletario contro gli immigrati.
Serve la borghesia tanto quando si fa esplicitamente paladina degli interessi di grandi gruppi economici quanto nel momento in cui offre finte soluzioni interclassiste ai problemi della classe lavoratrice.
Per le formazioni politiche borghesi, la corsa ad accaparrarsi quote del bacino elettorale, per forza di cose a prevalente composizione sociale proletaria, non può significare perdere di vista i loro veri grandi elettori, il capitale e i suoi agenti. Anzi, la concorrenza politica per ottenere la rappresentanza di una combinazione più salda e influente possibile di frazioni capitalistiche si gioca anche sul terreno di chi riesce meglio a sottomettere e subordinare le masse proletarie agli interessi borghesi più rilevanti e pressanti.
Va da sé che, quando si rivolgono ai lavoratori, i politici borghesi ricorrono al loro becero arsenale di slogan, frasi fatte, ricette elettorali propinate con una dose da cavallo di superficialità.
Mentre, quando interagiscono con i pezzi da novanta della società capitalistica, i toni cambiano (si riscopre addirittura lo “studio”, evidentemente non così necessario nelle interviste al citofono …), gli impegni si fanno concreti, propositi, progetti e risultati diventano sostanziali e soggetti a puntuale verifica. Una volta terminata l’udienza con sua eminenza, stretti gli accordi e offerte le garanzie al grande capitalista, rassicurato l’investitore estero, si può tornare benissimo a rindossare i panni dell’uomo del popolo, ai bagni di folla e di selfie, alle sceneggiate mediatiche nelle periferie.
Fa parte delle regole del gioco, il gioco al massacro della nostra classe.