LORO E NOI - 31/01/2020
 
Est modus in rebus

Ha suscitato clamore l’iniziativa di una scuola di Roma che sul proprio sito istituzionale, nella sezione di presentazione dell’istituto, ha diviso le proprie sedi in base all’appartenenza sociale degli studenti. Gli alunni appartenenti a famiglie di ceto medio-alto da una parte, quelli di estrazione sociale medio-bassa, per lo più di origine straniera, dall’altra. Divulgata la notizia, la scuola in questione è stata oggetto di una serie di critiche, volte a difendere la natura non classista dell’istruzione italiana, provenienti dai più svariati ambiti associativi e politici. Il presidente dell’Associazione nazionale presidi del Lazio, Mario Rusconi, ha dichiarato: «purtroppo deve essere stato fatto un errore da parte di qualcuno eccessivamente zelante e poco esperto nella comunicazione, non s’è reso conto che invece di dare prestigio alla scuola, la stava ricoprendo di vergogna». Secondo il neo ministro dell’istruzione, Lucia Azzolina, la scuola dovrebbe sempre operare per favorire l’inclusione, «descrivere e pubblicare la propria popolazione scolastica per censo non ha senso». Anche per la sindaca Virginia Raggi è «intollerabile che quegli studenti vengano suddivisi per censo. Discriminare e creare barriere è esattamente l’opposto di quello che dovrebbe essere un insegnamento corretto, responsabile e inclusivo».
Lo sdegno politico è stato bipartisan, «usare frasi come quelle nel sito “significa insegnare la discriminazione”, dicono ad esempio i senatori M5S nella Commissione bicamerale Infanzia e adolescenza. Patrizia Prestipino, della Commissione Scuola e istruzione di Montecitorio, “da insegnante di liceo” è rimasta “letteralmente basita”. “Giusta ed immediata la reazione del governo”, secondo Nicola Fratoianni, Sinistra italiana-Leu: “Una palese violazione delle norme della nostra Costituzione”. Per Ylenja Lucaselli, deputata di FdI, “una scuola che divide i suoi studenti secondo criteri di censo è inimmaginabile”» (Avvenire online, 15 gennaio). Tutti uniti nel criticare una sguaiata, palese attestazione di classismo, ma al contempo tutti uniti nel difendere le fondamenta della società divisa in classi. L’iniziativa della scuola romana può essere condannata con piena coerenza politica solo da chi si batte contro il capitalismo e la sua oppressione di classe. Per tutti gli altri, l’unico rimprovero che possa sfuggire all’ipocrisia è quello per un peccato di ingenuità, per un’eccessiva sfacciataggine. Una retorica in una certa misura egualitaria, persino limitati spazi di condivisione di esperienze formative per le varie classi – purché non mettano in discussione le essenziali gerarchie sociali del capitalismo – possono risultare funzionali alla tenuta del sistema stesso. Le espressioni più avvertite della borghesia sanno che c’è modo e modo di presentare la realtà della divisione in classi, di gestirla. Solo per noi marxisti, nemici scientificamente coerenti del capitalismo, lo scandalo profondo non è nell’esistenza di un’istruzione di classe nella società divisa in classi, ma nell’esistenza complessiva di una simile società, che ancora inchioda il genere umano alla sua preistoria.