LORO E NOI - 31/10/2019
 
Il presidente di tutti

Sarò il presidente di tutti. Quante volte si è sentita questa rituale frase programmatica. Magari adattando l’afflato ecumenico agli incarichi di sindaco o del massimo responsabile di importanti istituzioni.
Il nocciolo del messaggio è che finalmente tutti, ricchi e poveri, appartenenti ad ogni classe sociale e orientamento politico, racchiusi all’interno dello spazio territoriale di competenza dell’autorità in questione, avrebbero trovato il loro tutore e punto di riferimento, super partes e ugualmente votato al bene di ogni singolo cittadino affidatogli.
Ovviamente qualsiasi proletario un minimo cosciente si è sempre fatto beffa di questa altisonante dichiarazione. Ben sapendo, anche per amara esperienza, che la sfera istituzionale non garantisce alcuna zona franca dalle pressioni del potere economico e dall’influenza delle classi dominanti.
Anzi, in regime capitalistico, le istituzioni e i poteri pubblici non possono che essere oggettivamente espressione della borghesia, nelle sue varie composizioni e nei suoi mutevoli assetti interni. Semmai l’unica briciola di verità che si può concedere alla pomposa affermazione è che il soggetto in questione punta a raccogliere una base di sostegno più ampia possibile tra le varie frazioni borghesi.
Frase rituale, si diceva, e infatti in genere non merita nemmeno di essere presa in considerazione. Succede però che talvolta qualcuno calchi un po’ troppo la mano con la retorica.
Recentemente è morto Jacques Chirac, ex presidente francese. Va da sé che non ci si poteva attendere che la stampa e i mass media della borghesia di ogni latitudine definissero l’illustre defunto come uno dei massimi esponenti politici dell’imperialismo francese.
Ma nel ricordarlo c’è chi ha utilizzato espressioni che probabilmente avrebbero messo in imbarazzo gli stessi famigliari del de cuius.
Chirac amava indistintamente tutti i francesi, «che fossero contadini, operai, artigiani o capitani d’industria», animato da «una passione dell’altro e dell’altrove», e ricambiato da un amore che si estende «dal Senegal alla Palestina, dal Messico al Giappone».
Simili parole sono state pronunciate nel giornale radio di Radio Popolare (27 settembre), storica emittente della sinistra milanese.
Un’intera biografia politica al servizio della borghesia, la natura di classe dello Stato ai cui vertici Chirac si è a lungo insediato, tutto questo è stato condonato in nome della vittoria elettorale su Jean-Marie Le Pen nel 2002? Non sappiamo. Ma rimane il fatto che a questi livelli può scadere una sinistra quando abbandona ogni ancoraggio alla consapevolezza di classe, ogni riferimento alla comprensione teorica del capitalismo, il più tenue legame con gli interessi storici della classe sfruttata.