LORO E NOI - 30/09/2019
 
Patrioti o globalisti, la falsa alternativa per i proletari

La miserrima favoletta della ragazzina che sfida i grandi della Terra, anzi li «sgrida» (titolo, incredibile, de la Repubblica del 24 settembre) o addirittura (titolo non meno incredibile su La Stampa del medesimo giorno) «scuote» l'Onu con il suo «urlo», forte dell'avanzata travolgente della coscienza ambientalista e del sostegno dei “giovani” (vuoi mettere la dolce ala della giovinezza con l'arida discriminante di classe…), sta riscuotendo un successo che attesta chiaramente due dati di fatto:
- se non si fissa lo sguardo sui movimenti profondi delle classi sociali, sulle dinamiche essenziali del capitalismo, si finisce inevitabilmente – anche e soprattutto se in buona fede – a fare da massa di manovra di interessi borghesi in azione e in competizione. E in una fase in cui il livello della coscienza di classe nel proletariato è ai minimi storici non sorprende che possano dilagare impunemente su vasta scala le truffe ideologiche più grossolane.
- C'è tutto un mondo, fatto di ambiti politici e culturali “progressisti”, ridotto talmente male, reduce da tali e tante batoste, capace persino di scavarsi la fossa da solo consegnando ai populismi lo scettro di rappresentanti degli “scontenti della globalizzazione” (e nella misura in cui in questa definizione rientra il proletariato, la rappresentanza populista non potrà essere da meno dei precedenti di sinistra in quanto ad inganni e delusioni), insomma così disperato da cercare una boccata d'ossigeno persino in una clamorosa operazione di autopromozione attraverso la quale enormi interessi borghesi hanno catapultato il faccino di Greta Thunberg all'attenzione mediatica mondiale.
A completare il pacchetto regalo per il proletariato internazionale si è prodigato il presidente statunitense Trump. Mentre la moderna Giovanna d'Arco dell'ambientalismo lo fulminava con i suoi occhietti da professionista dell'indignazione, il magnate americano caracollava con aria spaccona per il Palazzo di Vetro da cui avrebbe poi tratteggiato i termini del conflitto contemporaneo: «patrioti» contro «globalisti» (quando si espelle dal discorso la realtà dell'appartenenza di classe, le linee di demarcazione risultano di una pochezza, di una miseria politica e teorica vergognose).
Ecco spiattellata la scelta a cui sono chiamati i proletari di tutto il mondo: prendere posizione per questa o quella componente capitalistica in un gigantesco confronto tra interessi borghesi nel quadro di una riconversione economica e tecnologica capace di costituire un giro d'affari da capogiro e di costruire dal nulla miti e feticci.
I “globalisti” si intruppino quindi dietro il faccino imbronciato dei pargoli di una protesta ambientalista supportata dai più bei nomi dell'imprenditoria internazionale, magari accompagnati dalla sigla ecumenica della pubblicità di una qualche multinazionale “progressista”.
Che i novelli “patrioti” si beino invece degli istinti più rudemente esibiti dai tirapiedi del capitale più “tradizionale” e “nazionale” (quando fa comodo). L'importante è che siano i proletari, le masse dei salariati, a pagare il prezzo della sostenibilità ambientale con tasse e balzelli ecologici più o meno mascherati, con l'imposizione di nuovi livelli di spesa benedetti dai sacerdoti dell'ambiente o che si immolino per la salvezza delle industrie “tradizionali”, sorreggendo a spese proprie la loro permanenza sul mercato o pagando sulla propria pelle il costo ambientale che la società divisa in classe riversa sui luoghi di lavoro e sugli spazi abitativi proletari.
Eppure il ragionamento di per sé sarebbe anche semplice e lineare: è stata la borghesia, il capitale internazionale ad arricchirsi, a macinare enormi profitti inquinando mari e fiumi, intossicando l'aria e infettando le carni di interi popoli, che siano costoro a restituire le ricchezze realizzate in maniera così devastante. Che siano coloro che hanno fatto i soldi distruggendo l'ambiente a pagare ora per la sua tutela e salvaguardia. Che sia evitata come la peste ogni proposta che implichi un costo, nuovo e atrocemente beffardo, per la classe sociale che è morta avvelenata nelle fabbriche, che ha respirato veleno nei quartieri operai, che ha assorbito veleno nei tragitti quotidiani di un pendolarismo con cui arrivare a fine mese, che ha dovuto barattare vita e salute con un salario con cui far campare la propria famiglia. Questo deve essere il punto fermo attorno a cui imperniare un movimento di difesa dell'ambiente che non si risolva nell'ennesima occasione di profitti per i capitalisti e di inganno per i proletari. Ma da questo orecchio, si può esserne sicuri, non sentono né i “globalisti” né i “patrioti”. Né le nuove pulzelle visionarie né i bulli del padronato vecchio stile. Divisi su come far funzionare al meglio il capitalismo, ma non sulla sua sacra esistenza fondata sulla schiavitù salariata.