Un sano ambiente vitale
L’inserto culturale de Il Sole 24 Ore (domenica, 15 settembre, «Spiragli per un lavoro più giusto») presenta i contenuti di un saggio statunitense (Beaten Down, Worked Up) che ripercorre la parabola dei sindacati americani e del progressivo deterioramento delle condizioni dei lavoratori.
Si tratta di un «un circostanziato e ampiamente documentato resoconto del passato, presente e possibile futuro dei sindacati americani» scritto da Steven Greenhouse, giornalista che per oltre trent’anni ha indagato sul mondo del lavoro per il New York Times.
Si tratta del «bollettino di una disfatta»: i sindacati sono da tempo in caduta libera, e la loro debolezza ha contribuito ad aggravare molti dei principali problemi del Paese (l’aumento delle disuguaglianze, la stagnazione dei salari, l’alto numero di lavori mal pagati e il formarsi di una classe politica sempre più orientata a favore delle multinazionali e dei ricchi finanziatori delle campagne elettorali). «Le cifre del tracollo sono impressionanti. Dal 1948 al 1973, l’aumento di produttività dei lavoratori è proceduto di pari passo con l’aumento dei loro salari, in entrambi i casi raddoppiando di valore; dal 1973 al 2016, la produttività è aumentata sei volte di più dei salari. Come risultato, tenendo conto dell’inflazione, la paga media oraria di un lavoratore è oggi inferiore a quella del 1973. Gli amministratori delegati delle principali 350 aziende americane guadagnano 312 volte il salario medio di un lavoratore; nel 1965 erano 20 volte. L’uno per cento più ricco
della nazione ha ricevuto nel 2015 il 22% delle entrate globali: una proporzione mai raggiunta dagli anni Venti del secolo scorso, subito prima della Grande depressione. La paga minima oraria garantita oggi dal governo federale, tenendo conto dell’inflazione, è un terzo più bassa che nel 1968». L’articolo fa riferimento a fatti relativamente recenti che segnalano una possibile inversione di tendenza. «Il 29 novembre 2012 i dipendenti di un McDonald’s su Madison Avenue, a New York, scioperarono per un giorno chiedendo un aumento della paga minima oraria da 7,75 a 15 dollari l’ora. Era una follia: non facevano neanche parte di un sindacato; la loro era una protesta spontanea. Ma, incredibilmente, la lotta per i 15 dollari si allargò a tutto il Paese: il 29 agosto 2013 ci furono scioperi in cinquanta città, che diventarono cento il 5 dicembre. L’aumento è stato decretato per legge a New York, in California e in numerosi altri Stati. In pochi anni, la vita è migliorata per oltre
venti milioni di lavoratori».
Vengono riportati casi di realtà imprenditoriali di successo che hanno deciso di istaurare rapporti collaborativi con i propri dipendenti, come la Kaiser Permanente, consorzio americano di cure, con sede a Oakland in California. Una gigantesca impresa che fornisce servizi sanitari a circa dodici milioni di clienti e che ha oltre 200mila dipendenti. «Vent’anni fa era in crisi; oggi è un ammirato leader del settore. Il segreto? Un rapporto di fiducia e cooperazione fra lavoratori e amministratori: i primi si adoperano, con impegno e con idee, a far funzionare meglio l’azienda; i secondi li premiano con salari e benefici che attirano le persone migliori da aziende concorrenti». L’economia – conclude l’articolo – non è solo finanza: è gestione dell’ambiente vitale, e l’ambiente vitale è sano e prospero se vi circolano sentimenti positivi: cura, solidarietà, philía (parola greca che può essere tradotta con amicizia, rispetto o cura dell’altro).
La borghesia – anche nelle sue componenti più illuminate - dimentica, o finge di dimenticare, che l’ambiente vitale del capitale necessita del profitto come unica condizione imprescindibile. Dimentica la natura inevitabilmente e oggettivamente antagonistica e conflittuale della produzione capitalistica. Dimentica che ogni soluzione interclassista incapace di mettere in discussione le logiche del capitale non può che rivelarsi effimera, inefficace e inadeguata, e che il solo elemento realmente vitale dell’ambiente capitalistico è la lotta di classe.
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