Casta diva
Sono partite le manovre per la formazione del nuovo Governo e puntualmente è andato in scena il solito teatrino imprenditoriale. Il Corriere della Sera del 2 settembre ci informa che Paolo Agnelli,«nella doppia veste di presidente di Confederazione dell'Industria Manifatturiera Italiana e di imprenditore a capo del gruppo Alluminio Agnelli», osserva «con disincanto» le mosse per la costituzione dell'Esecutivo Pd-M5S.
L'industriale commenta amaramente: «Ho visto sei governi negli ultimi sei anni e sono stanco di ripetere sempre le stesse cose».
Il tono esprime l'usuale atteggiamento della borghesia, nella sua autorappresentazione di laborioso e salvifico “partito del Pil”, di uomini e donne “del fare”, distanti – e un po' disgustati – dalle limacciose acque di una politica politicante astrusa, corrotta e inconcludente.
Sarà pure «stanco», ma, fatta la premessa di rito circa la propria estraneità nei confronti delle torbide stanze del potere, il presidente-imprenditore va subito – e anche questa è una costante – al sodo: si parla di riduzione del cuneo fiscale «in favore dei lavoratori», trascurando «ancora una volta» (sic!) che le imprese devono beneficiare della riduzione fiscale.
Il vivo sentimento di una inconciliabile alterità rispetto alle pastoie della sfera politica e insieme il richiamo agli imperativi di una nobile vocazione all'intraprendere nel nome del benessere collettivo si colgono anche nelle parole di Licia Mattioli, vicepresidente di Confindustria e amministratore delegato di Mattioli spa. «Da troppo tempo» – lamenta la manager dell'azienda di famiglia operante nel settore della oreficeria e gioielleria di lusso – si attende il rilancio delle grandi opere infrastrutturali. Al richiamo alle urgenze del “fare” si accompagna un altrettanto elevato auspicio: che i dicasteri vengano assegnati in base alle competenze e alle capacità «anziché sulla base di giochi e alchimie politiche poco comprensibili agli occhi di cittadini e imprenditori».
E qua non si scherza davvero, con l'evocazione delle categorie dei «cittadini» e degli «imprenditori» (chiunque non possa vantare l'appartenenza all'universo imprenditoriale si consoli: rimane comunque cittadino), saldati come un novello Terzo Stato contrapposto ai privilegi e alle oscure trame degli alchimisti della “politica”.
E pensare che di fronte a tanto slancio emancipatore c'è ancora qualcuno che si ostina a scomporre la massa dei “cittadini”, così disinteressatamente posta agli ordini dei vertici imprenditoriali, in classi con distinti e contrapposti interessi specifici.
Come se gli industriali non incarnassero una figura sociale capace di unire in sé gli interessi comuni della nazione, in un grande abbraccio ad affratellare il salariato e il disoccupato con il capitano d'industria e il finanziere, il proletario con il borghese, nel nome di un'economia finalmente liberata dalle intrusioni della politica e divenuta spazio per un'universale realizzazione individuale (va da sé che da questo grande abbraccio rimangono rigorosamente esclusi utili e profitti).
Lisa Ferrarini, vicepresidente di Confindustria con delega per l'Europa e alla guida dell'omonimo gruppo agroalimentare, si unisce alle critiche nei confronti delle lentezze con cui la politica si sta misurando con il tema delle infrastrutture e chiude con un programmino risoluto: «Bisogna educare le persone e soprattutto i giovani al lavoro e non all'idea di essere sussidiati».
Ancora una volta l'esortazione proviene da un pulpito di riconosciuta competenza. Chi più degli imprenditori italiani – e quelli del settore agroalimentare non certo per ultimi – può vantare una storia di sussidi tale da conferire una indiscussa autorevolezza in materia.
Va segnalato poi come nel profilo del “cittadino” tratteggiato dagli esponenti del mondo industriale campeggi “l'educazione al lavoro” (un piccolo brivido storico percorre la schiena…) mentre tende sistematicamente a mancare l'educazione del lavoratore alla propria difesa nei confronti della logica del profitto così disinvolta e relativista nei confronti degli stessi diritti del cittadino, alla coscienza di come i suoi diritti di cittadino non si debbano annullare all'ingresso del luogo di lavoro o di fronte alle mitizzate leggi del mercato, di come lo spazio della cittadinanza non escluda il conflitto da parte di chi, oltre che cittadino, è possessore solo della sua forza-lavoro.
Ma forse quello che colpisce di più, leggendo queste continue geremiadi è la spudoratezza, che riposa su rapporti di forza sociali estremamente favorevoli, della raffigurazione di una borghesia non solo rimasta incontaminata ed estranea alla politica borghese ma persino vittima dei suoi maneggi e delle sue nefandezze. I mille e mille legami, contatti, accordi, scambi tra il mondo politico e imprenditoriale non esistono. Né sono esistiti il Jobs Act (attentamente salvaguardato nella sostanza anche dal sedicente Governo del cambiamento Lega-M5S), le agevolazioni fiscali per le imprese (crediti di imposta, super ammortamento etc.). Mai i Governi hanno messo mano al presunto risanamento a spese delle pensioni dei lavoratori o della loro assistenza sociale e sanitaria. Meno che mai è esistita la realtà di una classe salariata condannata ad essere massima contribuente, impossibilitata ad evadere sulla falsariga di borghesi grandi e piccoli.
La borghesia, a parole, vola alto e dalle altezze della sua retorica guarda sprezzante la propria politica. Salvo precipitarsi a sguazzare nella palude di questa politica, pronta all'incasso.
Le due attività non si escludono a vicenda. Tutt'altro.
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