Sfruttati due volte
L’inflazione non è più un tema, in molti Paesi occidentali, che suscita preoccupazione, ma in alcune aree del mondo l’aumento generale dei prezzi accentua le contraddizioni sociali e apre a situazioni di profonda instabilità politica.
Tassi di inflazione superiori al 10% sono rilevati nell’Africa Sub-sahariana, in Libia, in Venezuela e in Paesi come Turchia, Argentina e Iran. Anche alcuni Stati asiatici vedono rincari di prezzi che peggiorano le condizioni di vita della classe salariata.
Il sito internet AsiaNews, sito cattolico del Pontificio Istituto Missioni Estere, in un articolo del 5 maggio descrive, per esempio, la situazione dei lavoratori thailandesi, lavoratori che, nella quasi totalità, il 95% dei casi, «annegano nei debiti» a causa di un costo della vita sempre più elevato e della possibilità di accedere con facilità a prestiti. Il reddito medio della forza lavoro è di circa 15mila baht (419 euro) al mese e il debito medio per nucleo familiare è di 158.855 baht (4.437euro). L’aumento del debito ha registrato una crescita di quasi il 15% rispetto all’anno precedente. I lavoratori, a causa dell’aumento delle spese e dei prezzi delle merci, e di salari non indicizzati al tasso di inflazione spendono, secondo il Bangkok Post, più di quanto guadagnano.
I salariati sono così sfruttati due volte: sfruttati nella produzione capitalistica e da un sistema creditizio che li strozza. La loro richiesta è un salario minimo che aumenti di pari passo con i rincari di utenze, trasporti e prodotti alimentari. L’unica risposta al peggioramento delle condizioni di vita rimane, in Thailnadia come ovunque, la lotta di classe.
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