LORO E NOI - 30/04/2019
 
La prima cosa bella

Il mese di marzo ha visto il riaccendersi di una polemica ai piani alti della politica borghese (e il livello del dibattito dice molto sulla bassa levatura odierna di questi piani alti) intorno al giudizio sul fascismo e sul suo lascito.
Al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani (Forza Italia), che ha riproposto il trito, qualunquista, meschino schema che vorrebbe un fascismo salutare e realizzatore prima della funesta scelta della guerra e delle leggi razziali (l'esponente dei “moderati” in Italia e in Europa concede, bontà sua, anche l'omicidio Matteotti tra gli aspetti non esaltanti del fascismo) non poteva che rispondere, tramite l'autorevole penna di Ezio Mauro, una testata capofila dell'antifascismo borghese come Repubblica. Se l'uscita radiofonica del presidente dell'Europarlamento non fa che confermare come sia tuttora utile e profittevole strizzare l'occhio alla sterminata pancia piccolo-borghese e proprietaria del Bel Paese, che da sempre conserva una malcelata attitudine criptofascista (più o meno cripto a seconda dei momenti, come puntualmente esige l'essenza delle mezze classi), non meno interessante e rivelatrice di una profonda natura di classe è la replica dell'editoriale di Repubblica del 15 marzo. «Vediamoli quegli anni che oggi si celebrano come innocenti» è l'annuncio battagliero di Ezio Mauro, che parte ad enumerare le malefatte del fascismo a partire, curiosamente, dal 24 novembre 1922 (Mussolini chiede e ottiene i pieni poteri). Con una sbrigativa menzione delle violenze fasciste a Torino nel dicembre 1922, riassunte nell'assalto alla Camera del Lavoro e alla redazione dell'Ordine Nuovo – per suggerire invece la ben più ampia portata della ferocia anti-proletariaria dell'offensiva squadristica basti ricordare che in quella che fu ricordata come la strage di Torino venne trucidato, insieme ad altri, il segretario della sezione torinese della Fiom Pietro Ferrero, legato ad un camion e trascinato per le vie della città – del fascismo è denunciato essenzialmente il carattere illiberale, totalitario, il suo disprezzo per il corretto svolgimento delle operazioni elettorali, le numerose manifestazioni di violenza in contrapposizione alla civile e pacifica competizione democratica. Sull'onda di questa condanna di un fascismo come «peccato contro la nazione» e come esperienza e minaccia non abbastanza introiettate nella consapevolezza della «comunità democratica», Mauro si lancia in sonore invettive: «La banalizzazione strisciante e progressiva del fascismo che è stata fatta in questi ultimi decenni ha prodotto come risultato l’azzeramento della storia, l’annullamento del suo significato, l’indebolimento del suo giudizio». La Repubblica ha nei giorni successivi ospitato altri interventi sul tema, da quello del fondatore Eugenio Scalfari allo storico Luciano Canfora. Al centro dell'attenzione il fenomeno fascismo come rifiuto delle «mediazioni democratiche», come persistente e discriminante vocazione all'identificazione razziale e al «rifiuto del diverso». Un fascismo, insomma, quale categoria metastorica, ubiquo e proteiforme istinto umano, deviazione congenita di quel legno storto dell'umanità malignamente sfruttato dai demagoghi. I toni della riflessione sembrano volare alti, eppure la sensazione è che, per usare le parole di Mauro, si stia consumando anche in questo caso qualcosa che a suo modo ha «come risultato l’azzeramento della storia, l’annullamento del suo significato, l’indebolimento del suo giudizio». Strano infatti che nella ricostruzione di Repubblica, di questo storico baluardo del progressismo borghese, tendano a scomparire, nel bilancio dell'«avventura» del fascismo, gli anni dello squadrismo dal 1919 al 1922, gli anni della più virulenta offensiva “anti-bolscevica”. Strano che tenda a passare in secondo piano nella perentoria condanna del fascismo, dei suoi apologeti più o meno dichiarati, la fase di aggressione spietata contro il movimento operaio e bracciantile, contro le sue organizzazioni, le sue sedi, i suoi uomini, le sue conquiste. Strano che tenda a sbiadire nella memoria democratica anche di Repubblica quel momento storico in cui lo squadrismo, finanziato e sostenuto da agrari e industriali, costruì le basi delle proprie fortune politiche attaccando e distruggendo le capacità rivendicative del proletariato organizzato, rivelando in questa fase con estrema chiarezza la propria natura di classe. Che strano che, nelle battaglie politiche dell'antifascismo borghese, si tenda a sfumare l'essenziale funzione di difesa del capitalismo da parte del fascismo. Che strano. O forse no...