Il conto di una fake news
Lo storico Giovanni De Luna su La Stampa del 28 marzo ci rammenta un fatto ben noto, ma che con il passare del tempo forse non tutti ricordano. Ovvero la cifra di benvenuto che veniva elargita, a iniziare dagli anni Settanta, ai tedeschi della Germania Est che arrivano nell’agognato Ovest. Un anno prima della caduto del muro, tale cifra aveva raggiunto quota 100 marchi (poco più di 50 euro attuali).
De Luna si sofferma su questo aspetto simbolico. Nel 1989 cadeva il muro di Berlino, la storia finiva, come affermava il politologo statunitense Francis Fukuyama, il capitalismo vinceva sul comunismo e quei 100 marchi erano il viatico per il nuovo mondo libero.
De Luna però, oggi, amaramente, deve ammettere che la storia non è finita, anzi, è portatrice di nuove divisioni e che i muri non sono scomparsi ma stanno tornando, in maniera decisa proprio in quell’Europa dell’Est che avrebbe dovuto gioire della salvezza portata dalla democrazia e dal libero mercato. Non solo, i muri e le divisioni stanno iniziando a moltiplicarsi in tutto il mondo. Per De Luna: «La libertà che fu allora proposta a chi, come i berlinesi dell’Est, non ne conosceva il significato politico, fu quella di arricchirsi, facendo balenare la possibilità di accedere a consumi in precedenza solo sognati».
Ed ecco svelato il problema. La democrazia rovinata dal libero mercato troppo libero, senza regole. Chi non era abituato alla libertà ne ha ricevuta troppa e in troppo poco tempo. La democrazia può svilupparsi e dare i suoi frutti solo se il mercato viene regolato, se si assorbono gli ideali democratici senza le storture dell’arricchimento fine a se stesso, basta trovare quindi il giusto equilibrio, il “giusto” libero mercato, il “giusto” rapporto tra democrazia e capitalismo. La tesi che sottende simili rappresentazioni è chiara e nota: oltre la cortina di ferro non c’era né capitalismo né democrazia, ma comunismo e totalitarismo e l’incontro, troppo repentino, tra le società liberate dal comunismo e il capitalismo ha prodotto non la “vera” democrazia, ma una sua versione spuria, contaminata, incompiuta. Insomma, al socialismo reale sarebbe subentrata una sorta di capitalismo improprio. Con simili trovate, i cantori del capitalismo come forma definitiva della società possono
disinvoltamente continuare ad assolvere il loro migliore dei mondi possibili per tutte le delusioni e le mancate promesse seguite al crollo del muro e continuare ad attribuire questo gramo bilancio ai perduranti e malefici effetti, alle deviazioni e ai ritardi che il presunto comunismo avrebbe determinato.
La democrazia è in realtà il miglior involucro del capitale, come afferma Lenin, e non deve stupire, quindi, che i capitalismi più efficienti e competitivi abbiano assunto questa forma mentre il capitalismo che ha assunto le forme del falso socialismo dell’URSS, un capitalismo di Stato più fragile e inefficiente nella competizione globale, non sia riuscito ad approdare ad uno stadio di matura democraticità. Ma sempre di capitalismo si trattava e la fine dell’URSS altro non è stato che l’epilogo di un processo di selezione tra capitalismi. La fine del cosiddetto socialismo reale ha comportato significative mutazioni sul piano politico e sociale ma non poteva superare le contraddizioni proprie del capitalismo. Andare davvero alla radice delle false promesse del “mondo libero” significa smascherare l’inganno del comunismo realizzato oltre cortina e del fallimento storico della formazione sociale alternativa al capitalismo. Ma su questa storica e colossale fake news è bene non porsi
troppe domande, va bene che sia un qualcosa dato per scontato, una bufala che alla bisogna fa sempre comodo tirare fuori.
Dalla caduta del muro di Berlino le cose non sono andate come ci si aspettava andassero, ma la riflessione sul perché di tutto questo deve rimanere sulla superficie. Andare in profondità vorrebbe dire mettere in discussione il capitalismo stesso. Meglio ripiegare sulla vulgata che non prevede più l’avvento radioso di un generale benessere democratico per tutti, ma che si trincera ormai nell’apologia del meno peggio, alla luce di quello che deve rimanere l’epocale debacle del comunismo realizzato. E pazienza se in realtà quel comunismo era sempre capitalismo, se oggi i lavoratori sono sempre più sfruttati, se i muri sorgono più drammaticamente splendenti e se all’orizzonte si profilano le nuvole nere di nuove e devastanti guerre.
Uno stato delle cose duro a morire e che cesserà soltanto quando finalmente la classe degli sfruttati farà pagare il conto agli sfruttatori di tutto il mondo, ben oltre i 100 marchi dell’ennesima illusione capitalista.
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