LORO E NOI - 16/03/2019
 
L’immigrato “buono” per il capitale

Con un intervento sul suo sito risalente al 5 marzo, la Coldiretti (Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti) ha invocato una rapida apertura delle frontiere agli extracomunitari. Ma questo con che obiettivo? «Il caldo ha anticipato la maturazione dei raccolti che rischiano di rimanere nei campi senza il via libera all’ingresso in Italia dei lavoratori stagionali extracomunitari. E' quanto afferma la Coldiretti che chiede l’immediata approvazione del Decreto Flussi 2019 che regola l’arrivo di manodopera dall’estero».
La Stampa
(edizione online del 10 marzo) ha poi dato voce alla Coldiretti della provincia di Cuneo che, oltre a ribadire l’urgenza di avere a disposizione manodopera immigrata per il lavoro stagionale e a giudicare insufficiente il numero dei lavoratori extracomunitari impiegati lo scorso anno, ha lanciato il grido di allarme per la «giungla di autorizzazioni» necessarie per avere a disposizione questa forza-lavoro (significativamente tra questi fattori di freno e ritardo compare l’ispettorato del lavoro … ).
Questa è per noi l'ennesima conferma, da parte di una fonte a suo modo autorevole, di come l'economia capitalistica, in realtà come quella italiana, abbia bisogno di forza-lavoro immigrata, meglio se ricattabile, poco tutelata e debole contrattualmente. Di come questa forza-lavoro, meglio se posta in condizioni di non poter rivendicare efficacemente condizioni migliori, possa essere messa in competizione con quella italiana, facendo in modo che entrambe vengano schiacciate dal tallone del capitale.
Da questo punto di vista, la fame di braccia immigrate e le campagne xenofobe non sono di per sé in contraddizione. Ben venga il lavoratore immigrato, purché rimanga in condizioni di emarginazione e di subalternità tali da consentire un suo più agevole sfruttamento e possa fungere da utile capro espiatorio per dirottare il disagio sociale verso forme di aggressività funzionali alla conservazione del sistema capitalistico.
La condizione precaria dei proletari immigrati in questo periodo storico è così particolarmente gravosa, poiché si trovano in una stretta morsa. Da un lato la ganascia dello sfruttamento capitalistico, in cambio di un salario quasi mai sufficiente ad una sopravvivenza in condizioni dignitose, e dall'altro la ghettizzazione, a cui si prestano purtroppo non pochi proletari italiani che, annebbiati dalla demagogia che inneggia a falsi riscatti sociali tramite una sempre più grave divisione tra lavoratori, vengono distratti dal vero nemico, e convinti a scagliarsi senza freni contro l'ultimo, il più debole anello della più debole classe sociale.
Ecco, quindi, come nella società borghese l'immigrato diventi "buono" quando può essere sfruttato e, possibilmente, appena finita la lunga e sottopagata giornata di lavoro, scomparire nel nulla, invisibile agli occhi xenofobi della "gente perbene", in qualche baraccopoli di periferia.
Appelli come quello della Coldiretti attestano altresì come la stragrande maggioranza dell’immigrazione sia costituita da forza-lavoro, sia parte oggettivamente di quell'esercito proletario che i padroni cercano di neutralizzare, scompaginare, indebolire e dividere.
Quello stesso esercito proletario che è la nostra speranza, un esercito che può unirsi, in quanto formato da appartenenti alla stessa classe sociale, oltre le differenze etniche, nazionali o religiose.
L’unico esercito che può condurre la lotta al capitale, in nome di un futuro migliore, liberato da tutta la barbarie, il degrado, lo svilimento del genere umano che lo sfruttamento capitalistico comporta.