Un segno dei tempi
I lettori della Libertà (quotidiano della provincia di Piacenza) hanno potuto imbattersi, nel solo numero del 13 febbraio, nella cronaca di ben tre distinti processi a carico di operai delle logistiche, iscritti ai sindacati di base.
Il primo processo, per manifestazione non autorizzata e interruzione di pubblico servizio, coinvolge alcuni lavoratori che hanno manifestato in mezzo ai binari della stazione di Piacenza in occasione dell’uccisione di Abd Elsalam Eldanf, operaio travolto da un camion durante un picchetto alla Gls nel settembre del 2016.
Il secondo processo, per diffamazione, è per aver indicato in un manager della Gls il provocatore che incitò il camionista ad investire Eldanf.
Il terzo (e non è uno scherzo), è per aver acceso dei fumogeni durante un corteo sindacale nel 2016.
Salta all’occhio come queste azioni repressive puntino su percorsi giudiziari sino a pochi anni fa percepiti dai più come sproporzionati rispetto ai fattii che vorrebbero sanzionare.
Tuttavia giova ricordare che lo Stato, la sovrastruttura incaricata di esercitare al massimo livello la violenza organizzata della classe dominante, è stato capace (e lo sarà ancora) di azioni repressive di ampiezza infinitamente maggiore a quelle qui sopra descritte. Ad ogni modo, quello che salta all’occhio, è la patente di “normalità” di cui gode questo clima repressivo nei confronti di quei segmenti di proletariato che osano alzare la testa in maniera seria. Una normale repressione che rimarrà normale finché una lotta di classe più generalizzata e diffusa non imporrà invece la normalità del rifiuto dello sfruttamento capitalistico.
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