Fango, illusioni e lotta
Ancora una volta, in quest'occasione a Latina e in altre aree del Lazio, ci si trova davanti ad un caso di caporalato, di lavoratori privati della propria dignità e costretti in infami condizioni salariali. «Al lavoro 12 ore, paghe da fame e condizioni disumane, il tutto con la complicità di chi avrebbe dovuto vigilare e del segretario della Fai Cisl che permetteva di lucrare sulle quote di iscrizione al sindacato» (Il Fatto Quotidiano online, 17 gennaio).
Nella lista degli aguzzini, oltre all'ispettore del lavoro, vi erano imprenditori agricoli, commercialisti, funzionari e, ultimo ma non ultimo, il succitato sindacalista della Cisl. Evidentemente non rientrava tra le preoccupazioni di quest'ultimo la benché minima azione sindacale, se per sindacato si intende - come storia, logica e vocabolario vorrebbero - un'organizzazione posta in difesa dei lavoratori, sostenuta e animata da essi.
Per costui evidentemente l'azione sindacale era solo un miserabile universo di numeri, di tessere e di soldi che servivano ad alimentare la propria squallida e fraudolenta logica di bottega. Solo la ripresa della lotta di classe potrà spazzare via simili burocrati sindacali e le loro botteghe per rimettere al centro la classe operaia e la propria emancipazione. I lavoratori immigrati erano reclutati nei centri di accoglienza per poi farli lavorare 12 ore al giorno con una paga di «4,5 euro l'ora» e «tra gli obblighi a cui i braccianti erano
sottoposti c'era appunto anche l'iscrizione al sindacato, dietro la minaccia del licenziamento».
Questo ennesimo, vergognoso episodio di tradimento degli interessi dei lavoratori e di complicità con i padroni da parte di un esponente sindacale ci può indignare, ma non ci deve stupire. Quando, ormai da molti anni, si è imboccata la strada - come è il caso di rilevanti settori del sindacalismo confederale, Cisl in testa - della rinuncia alla lotta, della gestione delle proprie squallide rendite di posizione, della svendita delle condizioni dei lavoratori pur di avere un posticino alla tavola della borghesia, quando si è fatta propria la trita litania della presunta modernità di un sindacato arrendevole, prono ai dettami imprenditoriali e subalterno al mondo politico borghese, è difficile poi stabilire un limite al degrado, è difficile arrestare la deriva. Ma comportamenti come questi, figli dell'abbandono dell'originaria e autentica concezione di sindacato, possono produrre danni persino maggiori dei pur già gravissimi effetti sulle vite dei lavoratori direttamente coinvolti nella
specifica vicenda. Possono portare ulteriore acqua al mulino di chi vorrebbe ancora di più indebolire i lavoratori, convincendoli che questi spudorati tradimenti della vocazione e del compito del sindacato testimonierebbero la fine della ragione storica del sindacato stesso, come organizzazione e strumento di difesa del mondo del lavoro. Oggi i lavoratori italiani sono sottoposti ad una devastante campagna di disinformazione, di diseducazione, di inganno. Politicanti e demagoghi, foraggiati da padroni e padroncini, non risparmiano alcun mezzo, non si tirano indietro di fronte ad alcuna speculazione pur di rifilare ai lavoratori la polpetta avvelenata fatta di chiusura nazionalista e localista, di razzismo, di disimpegno, di regresso sociale. Alla truffa dello straniero povero, del lavoratore migrante come principale nemico del lavoratore italiano, dell'invasione straniera come principale minaccia per le condizioni di lavoro e di vita dei proletari italiani (una truffa che risponde a
puntino al compito di distrarre i lavoratori dai loro compiti reali, dal loro nemico autentico, lo sfruttamento capitalistico, e dalla lotta contro di esso) si vorrebbe così, con l'aiuto di sindacalisti indegni di questo nome, aggiungere anche il rifiuto qualunquistico dell'esigenza di un'organizzazione autonoma di difesa dei lavoratori. In nome di quali soluzioni alternative? Sperare in un Governo finalmente "amico" che, a differenza di tutti i precedenti (di destra, di sinistra, di centro, "tecnici"), si dimostrerà strenuo difensore dei lavoratori e tolga loro generosamente le castagne dal fuoco? Affidarsi ad autorità che si sono mostrate forti con i deboli e deboli con forti (quelle autorità che condannano alla morte in mare donne e bambini o li riconsegnano spudoratamente ai propri torturatori ma che di fronte alle pretese di Confindustria si sono limitate ad un timidissimo ritocchino del Jobs Act, ribattezzandolo pomposamente decreto dignità)? Inseguire la salvezza nella
dimensione individuale, pensando, non si sa bene perché, di poter sfuggire singolarmente alle dure leggi del capitale? Se queste sono le nuove, innovative soluzioni, non è difficile prevedere prossime e amarissime delusioni. La triste e vergognosa vicenda di Latina dimostra l'inutilità o la dannosità per i lavoratori di un sindacato? È vero esattamente il contrario. Dimostra che di fronte al falso sindacato occorre costruire un sindacato vero. Dimostra quanto sia necessario oggi un sindacato combattivo, quanto sia urgente per i lavoratori riappropriarsi della pratica e delle organizzazioni sindacali. Dimostra cosa può succedere alle organizzazioni sindacali quando al loro interno i lavoratori non sono più protagonisti, quando la lotta cede spazio all'accettazione delle logiche del profitto. Dimostra quanto sia necessaria un'organizzazione sindacale che unisca gli sfruttati di ogni etnia, origine, colore della pelle, in modo che nessuno - né i padroni né i falsi sindacalisti loro
complici - possa dividerli e così sfruttarli sempre di più. Il tradimento di chi avrebbe dovuto difendere i lavoratori e invece si è unito ai loro sfruttatori non può essere combattuto rinunciando allo strumento di difesa dei lavoratori stessi. Lo si combatte ricostruendo questo strumento, ripulendolo, forgiandolo nuovamente perché possa essere nuovamente impugnato dalle mani della classe lavoratrice.
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