I leghisti alla prima crociata
Il marito di Asia Bibi, la donna cristiana condannata anni fa all'impiccagione per blasfemia in Pakistan e successivamente assolta dalla Corte Suprema, si è appellato alle autorità italiane per poter trovare un rifugio al di fuori del Paese di origine, dove incombono ancora le minacce di fondamentalisti musulmani. Quale momento politico migliore per lanciare questo appello visto che il ministro dell'Interno, vicepremier e grande azionista dell'attuale Governo, è Matteo Salvini, indomito paladino dell'Occidente, della Cristianità minacciata dall'islamismo migrante e/o terrorista, inflessibile baluardo contro le mollezze relativiste della sinistra laicista e arrendevolmente integrazionista? Invece la risposta del leader leghista è stata nel segno di una prudenza, di una moderazione linguistica, di un basso profilo, degni di un notabile democristiano di altri tempi. Capacità, considerati i gravi rischi che corre la donna e la sua famiglia, di abbandonare per un attimo i toni e gli abiti
del comiziante a ciclo continuo? Può darsi. Certo è che fa una certa impressione leggere, nella risposta del Salvini massimo interprete di una battaglia identitaria che disdegna i vecchi compromessi della politica politicante, l'esigenza di muoversi con «molta discrezione e attenzione» associata alle «relazioni commerciali importanti» tra Italia e Pakistan (Avvenire online, 6 novembre). In fin dei conti, non c'è nulla di nuovo o di sorprendente. Fatta la tara delle spacconate e dei proclami da campagna elettorale permanente, la reale identità politica, le autentiche idealità del leader della nuova Lega nazionalista e cristianissima rimangono quelle dello scenario borghese italiano dei giorni nostri. Si vanta di tenere il rosario sempre in tasca. È giusto, insieme agli spiccioli.
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