LORO E NOI - 13/11/2018
 
Quando anche il cioccolato diventa un boccone amaro

A Novi Ligure l'ennesimo datore di lavoro sta provvedendo, per tutelare i suoi interessi, a rovinare la vita di almeno 200 salariati (metà assunti direttamente e metà interinali) e relative famiglie. Il gruppo turco Toksoz, proprietario del marchio Pernigotti, ha deciso infatti di chiudere lo storico stabilimento di Novi e di lasciare tutti a casa. Del destino della produzione non vi sono ancora notizie certe: smentita la prima ipotesi di delocalizzazione in Turchia, ora il gruppo sta pensando di atomizzare la produzione presso varie imprese dolciarie. L'unica cosa di veramente certo è che fuori dai cancelli vi sono 200 lavoratori in presidio, sulla cui pelle si sta scatenando il più schifoso sciacallaggio politico e ideologico. Essendo infatti stati messi in mezzo a una strada da un padrone turco, numerosi esponenti politici di vari orientamenti stanno utilizzando la vicenda per rinvigorire la più squallida propaganda del "prima agli italiani" e della salvaguardia dell' "italianità" dei prodotti. Sino ad arrivare a quello che, per i lavoratori con un minimo di senso della realtà, non può che suonare come un vero e proprio insulto: nella trasmissione in onda su Rete4 Stasera Italia, puntata dell'8 novembre, in calce alle immagini della disperazione dei lavoratori in presidio ai cancelli della Pernigotti (e qui andrebbe ribadito che far pietà non giova mai, sotto alcun aspetto, alla classe oppressa) era scritto in sovraimpressione «Noi italiani abbandonati». I lavoratori della Pernigotti non sono stati messi alla porta dal padrone straniero in quanto italiani, allo stesso modo in cui i lavoratori stranieri non vengono messi alla porta dai padroni italiani in quanto stranieri (e che dire poi dei padroni italiani che mettono alla porta i lavoratori italiani?). Il potere che i padroni stranieri e italiani hanno sui lavoratori stranieri e italiani non risiede certo nella nazionalità degli uni o degli altri, ma nel possesso dei mezzi di produzione da parte dei primi, e con esso il possesso dei prodotti del lavoro umano. All'insulto si è aggiunta poi la farsa: una messa celebrata domenica nel piazzale della Pernigotti per chiedere a Dio la grazia della salvaguardia del posto di lavoro, con il prete che, viva l'onestà, avverte i lavoratori: «non posso assicurare miracoli» (Il Secolo XIX dell'11 novembre). Ecco come si riduce il proletariato (l'unica classe sociale che può strappare l'umanità alla preistoria per introdurla nella Storia) dopo decenni di devastante "pace sociale". Esaurito ogni barlume di indipendenza politica ed ideologica, cancellato ogni istinto di lotta e di diffidenza verso chi lo opprime, non può che finire per affidare la propria sorte al nemico e alla superstizione.