Le contraddizioni sociali non si superano sui social
Una delle più ricorrenti e tenaci illusioni collettive è che gli sviluppi scientifici e tecnologici possano risolvere problemi e superare contraddizioni che invece hanno le loro radici nelle caratteristiche più profonde e determinanti di una società.
Quante "paci perpetue" avrebbe dovuto regalarci il mondo grazie al crescente potere dei trasporti, delle comunicazioni, della trasmissione delle conoscenze. Quanta razionalità e stabilità in campo economico avrebbe dovuto finalmente sprigionare la capacità di previsione, di calcolo, di gestione di nuove tecnologie sempre più potenti e diffuse.
Invece eccoci ancora nel capitalismo, con le sue guerre, le sue crisi, la sua anarchia del mercato.
Non solo, sviluppi scientifici e tecnologici finiscono puntualmente asserviti alla spietata logica del profitto, si traducono in un ulteriore elemento al servizio del capitale e delle sue dinamiche feroci e distruttive. Prima di riproporre la solita solfa del capitalismo da umanizzare, l'ex presidente statunitense Obama ha dovuto ammettere tutte le difficoltà di regolare, disciplinare, ammansire il mercato e i suoi squali in un'era in cui il capitale può spostare centinaia di miliardi di dollari «semplicemente pigiando un tasto del computer» (Le Monde diplomatique - il manifesto, settembre 2018).
I social network non potevano fare eccezione. Spesso ingenuamente (e non sempre) salutati come prodigiosa dimensione di dialogo senza più confini, come ineluttabile grimaldello democratico contro regimi autoritari e censure, come formidabile veicolo di una nuova comunità globale superiore alle vecchie divisioni e conflittualità del mondo pre-internet, hanno svolto invece un «ruolo determinante», secondo fonti Onu, nelle violenze contro la minoranza rohingya in Birmania (Internazionale, 14/20 settembre). La sempre maggiore accessibilità di internet si è risolta in una formidabile amplificazione delle tensioni etniche che andavano crescendo. Né si pensi che simili sviluppi riguardino solo la Birmania. Il ventre digitale della culla occidentale del capitalismo ribolle di tutti i rancori, di tutte le paure, di tutte le lacerazioni, vecchie e nuove, che la società del capitale e dell'individualismo borghese, nel suo corso sempre più contraddittorio,
rielabora e alimenta. Indubbiamente il progresso scientifico e tecnologico contiene grandi potenzialità per un reale miglioramento della condizione umana e questo avanzamento non cessa di scontrarsi con i limiti dei rapporti sociali capitalistici. Liberare la scienza dal capitale è un obiettivo al cuore della prospettiva rivoluzionaria. E in questa lotta ha un senso l'utilizzo degli sviluppi scientifici e tecnologici. Ma non esiste una via di uscita tecnologica dal capitalismo. La scienza non ci libererà dal capitalismo e dalle sue contraddizioni, nella piena vigenza dei rapporti capitalistici. La scienza potrà essere liberata solo nella lotta di classe contro il capitale e nella società superiore che la rivoluzione dei rapporti di classe renderà possibile.
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