C'è chi gongola e chi si dispera
Il 30 settembre sulle pagine del Corriere della Sera veniva riportata una dichiarazione elogiativa del presidente di Confindustria nei riguardi di una delle due componenti del Governo giallo-verde. Così si esprimeva Vincenzo Boccia nell’assemblea della territoriale di Vicenza: «In questo governo crediamo fortemente nella Lega, è una componente importante. Qui non si tratta di regionalità ma di risposte vere ai cittadini». Da questa uscita del presidente di Confindustria si evince in primis che questo Governo non sarà il Governo ideale per tutti gli industriali (ammesso che possa esistere un Esecutivo ideale, visto che ad ogni modo un Governo rappresenta una sintesi, più o meno sbilanciata verso una o l'altra frazione borghese), ma non è certo percepito come il male assoluto dall'intero mondo dell'industria. Con buona pace tanto di chi (le rampanti formazioni populiste, sovraniste etc.) ama dipingersi come soggetto anti-sistema, ostile e avversato dai “poteri forti”, quanto di chi (le
forze politiche borghesi, sinistra in testa, che soffrono l'ascesa populista) si è ridotto ormai a fare il tifo per i grandi gruppi economici e le loro rappresentanze internazionali in modo che diano una lezione ai nuovi venuti nelle stanze dei bottoni del potere politico capitalistico. Critiche al Governo dei populismi non sono mancate da parte dell'alta borghesia e delle sue espressioni politiche e mediatiche. Ma tutto rientra nella dialettica, anche aspra, tra frazioni della borghesia, tra componenti capitalistiche, piccole e grandi, internazionalizzate o rivolte al mercato interno, in differenti relazioni con l'intervento statale, variamente proiettate sul mercato globale. Le autocelebrazioni come paladini anti-sistema o anti-casta o per contro gli anatemi contro i “barbari” estranei ai “puri” valori liberali del capitalismo sono il contorno del confronto politico, le munizioni di una campagna elettorale permanente. Non sono la sostanza degli scontri e delle tensioni che
attraversano l'imperialismo italiano. Il presidente di Confindustria, consapevole dell'impatto diviso del suo endorsement, ha voluto precisare da subito: «Non capisco lo stupore. Sui territori, dal Friuli alla Lombardia passando per il Veneto, la Confindustria dialoga in modo costruttivo con gli amministratori della Lega. Semplicemente contiamo sul fatto che lo stesso tipo di sensibilità venga mostrata dal partito di Salvini a livello nazionale quando si tratta di evitare misure punitive per le imprese. E ci auguriamo che il senso di responsabilità prevalga quando si tratta di varare misure che condizionano la vita del Paese. Noi valutiamo i provvedimenti e non i governi». Fatta la tara della solita, trita, stomachevole retorica degli industriali vittime di «misure punitive» (il Jobs Act, sopravvissuto brillantemente anche ai presunti furori del Governo “populista”?), di Confindustria che non si immischierebbe in politica per limitarsi al sano e pragmatico “fare” (colossale panzana
rifilata nel bel mezzo di una evidente mossa politica), il nocciolo è sempre lo stesso: che le forze politiche borghesi si mettano in concorrenza per dimostrare nei fatti chi meglio serve gli interessi del capitale, chi garantisce ad esso le migliori condizioni per spremere la forza-lavoro e massimizzare i profitti, chi riesce in miglior modo a scaricare sul proletariato il peso dello stesso Stato borghese. Confindustria è attenta agli sviluppi della vivace competizione ed è pronta a manifestare la sua preferenza, senza essere prigioniera di schemi passati o di steccati ideologici. Gli industriali sanno essere di mente aperta, quando conviene. Alle dichiarazioni di Boccia hanno fatto subito eco due esponenti politici, da una parte Luca Zaia della Lega e dall'altra Carlo Calenda del PD. Il Governatore del Veneto ha gongolato, rimarcando il legame tra il suo partito e gli imprenditori soprattutto al Nord e, nel botta e risposta con Calenda, non ha mancato di ricordare come in passato il
presidente degli industriali, allora in sintonia con il Partito Democratico, sia stato duro con la Lega. Come dire: ora è il nostro turno. A diversi dirigenti PD, per l'appunto come Calenda, la faccenda è andata comprensibilmente di traverso, arrivando a bollare le dichiarazioni del presidente di Confindustria come un endorsement «vergognoso». Ora Calenda e soci sono indispettiti e disperati, volevano essere solo loro i garanti degli interessi degli industriali. Invece sono stati scaricati, finendo momentaneamente in panchina. Scaramucce che mettono a nudo i legami, gli interessi e i tornaconto della classe borghese e dei suoi agenti. Questi ultimi possono focosamente differenziarsi con le più variopinte etichette ideologiche, soprattutto a beneficio delle masse, in massima parte proletarie, chiamate a schierarsi elettoralmente in una competizione da cui i loro interessi sono estranei, se non calpestati sistematicamente. Ma, quando si va al sodo, populisti e liberali, sovranisti e
globalisti, euroscettici ed europeisti, sanno benissimo che con l'indice di gradimento dei padroni non si scherza.
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