LORO E NOI - 10/10/2018
 
Ideologie asfittiche

Si apprende dalla stampa borghese, nella fattispecie il Corriere della Sera del 23 settembre, che un centinaio di immigrati italiani in Germania sarebbero stati invitati «a fare le valigie e lasciare il Paese». L'iniziativa prenderebbe le mosse da una legge entrata in vigore nel luglio 2017 e che recepisce una direttiva Ue sulla libera circolazione per i cittadini comunitari. Obiettivo della normativa sarebbe quello di contrastare il cosiddetto “turismo sociale”, stranieri che, grazie alla libera circolazione in Europa, migrano in Germania per beneficiare del welfare tedesco. Non solo, quindi, il rifiuto di fornire sussidi, ma anche l'invito agli stranieri non in regola con i requisiti di togliere il disturbo. Non si sa mai che qualche straniero europeo in condizioni di povertà perseveri nel tentativo di intrufolarsi nel giardino sempre più riservato delle politiche sociali. Insomma, se nel quadro politico del capitalismo italiano oggi va per la maggiore il “prima gli italiani”, in Germania non manca chi brandisce il “prima i tedeschi”. Ecco, quindi, delineatasi la squallida, miserevole, mortificante e ingannatrice alternativa che l'universo politico borghese offre ai lavoratori: o con gli interessati adoratori del libero mercato, i velenosi cantori liberali (europeisti e non solo) delle istituzioni sovranazionali del capitalismo più internazionalizzato o con gli urlatori del capitalismo “nazionale”, i demagoghi tornati rifilare la vecchia frode dello Stato posto al servizio di un popolo in cui si comporrebbero magicamente i contrastanti interessi di classe. Per il proletariato internazionale non ci sarebbe quindi che da rassegnarsi: l'unica opzione, oltre all'essere esposto, inerme, preda passiva delle dinamiche capitalistiche globali, delle oscillazioni del libero mercato e della liberale sete di profitto del capitale illuminato, sarebbe quella di finire politicamente chiuso e costretto nel recinto nazionale, sottomesso alle frazioni borghesi interessate a rivestire i panni del patriottismo sovranista, frammentato e impotente come classe di fronte a processi capitalistici che continueranno comunque a dispiegarsi su scala internazionale. Il punto fondamentale per noi rimane uno solo, cercare di dare ai lavoratori salariati una chiara indicazione politica che li affranchi dalle ideologie borghesi. Sovranisti o globalisti, nazionalisti o europeisti ognuno di essi tira per la giacca la classe sfruttata per tenerla al guinzaglio nel proprio giardino. La nostra classe ha invece storicamente un'autentica, autenticamente rivoluzionaria, alternativa da contrapporre. Conosciamo i ghigni sarcastici, le alzate di spalle, la becera supponenza del bel mondo della politologia borghese di fronte all'espressione: internazionalismo proletario. Li conosciamo gli spregiatori delle nostre cristalline sintesi teoriche, i santoni del fasullo pensiero politico (in realtà puro e semplice giustificazionismo dell'ordinamento esistente), pronti a emettere per il marxismo la sentenza di fallimento, a scagliare contro di esso l'anatema con cui il realismo borghese, fradicio di ideologia, pretenderebbe di aver chiuso i conti con la teoria della rivoluzione proletaria, spacciata per screditata utopia ideologica. Certo è che questi intrugli borghesi mostravano ben altra vivacità ai tempi del crollo del falso comunismo russo, quando era moneta corrente la fandonia di un mondo destinato ad un avvenire di crescente stabilità e benessere grazie all'ormai incontrastato trionfo del libero capitale. Quando si cianciava di fine di ogni Muro, crollato quello dell'ormai esaurita spartizione di Yalta. Oggi è dura come il ferro liquidare l'internazionalismo fondato sulla coscienza della dimensione mondiale della classe proletaria, sulla consapevolezza teorica della scala storica dei suoi compiti, come superato vaneggiamento ideologico, come relitto del passato, come concetto retrogrado, e farlo mentre si celebrano i fasti di immondi nazionalismi pervasi di razzismo come ultima parola del dibattito pubblico. O mentre si accetta come punto di arrivo della civiltà la miserrima monade borghese elevata a divinità meschina e feroce, disposta ad accogliere con grugniti di soddisfazione il proprio “prima” (gli italiani, i tedeschi, l'America first etc.) marchiato sulle carni di interi popoli costretti sulle rotte dell'emigrazione. O mentre si cerca affannosamente di riproporre la ricetta liberale, stentato rimasuglio di una grande promessa rivelatasi una colossale truffa. Le contraddizioni intrinseche del capitalismo, irriformabili, stanno sempre più acuendosi, la loro maturazione prepara deflagrazioni immani. Nessun dogma liberista, nessuna infatuazione sovranista potranno scongiurare gli sviluppi drammatici e ingovernabili che questo sistema porta già nel grembo. La nostra prospettiva internazionalista nasce dall'esperienza storica che si è tradotta in teoria. Attraversa il presente con la lotta per la vita di questa teoria nella coscienza di classe. E si proietta nel futuro come tracciato strategico di un'emancipazione dell'umanità dal capitale che solo nella rivoluzione proletaria può diventare traguardo storico reale.