LORO E NOI - 20/09/2018
 
Coppia di fatto

L'incontro a Milano tra il ministro dell'Interno e vicepremier Salvini e il premier ungherese Viktor Orban ha ottenuto una notevole visibilità: forte copertura mediatica, dichiarazioni altisonanti, contestazioni, il tutto nel segno di quella che sarebbe un'alleanza populista, un blocco sovranista votato a mutare la fisionomia politica dell'Europa. Molto meno risalto ha ottenuto il successivo incontro tra Salvini e l'ex premier britannico Tony Blair (oggi lobbista per il consorzio del gasdotto Tap). Eppure il faccia a faccia (immortalato dalla puntuale fotografia dei due esponenti politici, sulla carta agli antipodi, fianco a fianco e sorridenti), al di là di possibili e concreti sviluppi economici, non è stato privo di suggestioni, di una valenza simbolica capace di evocare passaggi storici di ampia portata. Come non vedere infatti nell'incontro (definito dal leader leghista «positivo» e all'insegna della concretezza, Corriere della Sera edizione online, 4 settembre), se non un passaggio di testimone, almeno il riconoscimento di un nesso oggettivo, di una sequenza storica che può spiegare molto del quadro politico attuale.
Uno è stato l'alfiere del New Labour, il paladino della nuova, moderna, rampante sinistra votata al mercato e alla sua piena e indiscussa espansione. È stato uno dei massimi interpreti della delegittimazione e demolizione di ogni esperienza socialdemocratica, tradunionista, laburista che - pur rimanendo totalmente inquadrata nell'accettazione del sistema capitalista - potesse in qualche misura intralciare, condizionare, frenare l'indiscutibile, insindacabile processo passato sotto il nome di globalizzazione.
L'altro è oggi uno dei massimi esponenti di quell'eterogeneo fenomeno definito come populismo che, avendo la globalizzazione presentato il conto a vasti settori della società, pressoché annichilite le forme precedenti di rappresentanza delle classi e delle componenti sociali più colpite da questo processo, ha potuto ergersi a difensore degli "scontenti della globalizzazione": una nuova forma di rappresentanza ma sempre e comunque ben incardinata nel sacro rispetto della sostanza dell'ordinamento capitalistico.
I trionfi di Salvini e simili sono possibili solo sulla base delle precedenti vittorie di Blair e simili. Da questo punto di vista, l'entusiasmo del leader leghista nell'incontrare l'ex leader laburista ha una sua giustificazione storica oggettiva e profonda. È stato, quindi, un consapevole gioco delle parti, un ricambio orchestrato minuziosamente ai piani alti del capitalismo? Tutt'altro.
Le componenti di grande borghesia che in passato hanno "pompato" i Blair, i Clinton, gli Schröder (e, last but not least, tutti i leaderini della sinistra italica fino alla loro più compiuta espressione con Renzi) oggi devono misurarsi con le contraddizioni, le incongruenze, gli attriti di un quadro sociale e politico che proprio la loro strutturale, organica, intrinseca cecità borghese ha contribuito a determinare. Su un punto fondamentale bisogna essere però chiari: senza l'azione del proletariato, senza la lotta di classe della classe sfruttata, alla fine, attraverso tensioni e conflitti, il sistema troverà un nuovo punto di ricomposizione, di equilibrio, un nuovo riassetto per quanto anch'esso transitorio e inevitabilmente problematico. E lo troverà proprio a spese della classe dei salariati.
Può capitare che una leva, una corrente, una famiglia politica borghese semini e altre formazioni borghesi raccolgano frutti che nemmeno i seminatori potevano prevedere. Ma fino a quando il proletariato non alzerà la testa il raccolto rimarrà comunque quello avvelenato del capitale