LORO E NOI - 05/07/2018
 
La moderazione degli anti-sistema

Il decreto cosiddetto dignità presentato dal vicepremier e ministro del Lavoro Di Maio come un colpo terribile vibrato al Jobs Act si traduce in realtà in un accentuato annacquamento dei propositi e degli obiettivi in precedenza sbandierati. Le nuove norme sono state presentate «in forma edulcorata rispetto ai primi annunci del ministro del Lavoro» e «le limitazioni ai contratti a termine, gli aumenti di costo del lavoro per i rinnovi sono infatti assai più contenuti di quanto ci si aspettava», si fa notare su La Stampa del 3 luglio.
Il Jobs Act varato a suo tempo dal Governo Renzi è quindi, vivo, vegeto e operante.
Vengono semplicemente elevati, e in misura anche contenuta, i costi da parte padronale dell'impiego di alcuni degli elementi essenziali della normativa.
Va da sé che dal mondo imprenditoriale sono giunte alte grida di dolore. La tattica negoziale è vecchia e collaudata: presentarsi, alla faccia dei più plateali riscontri reali, come povere vittime di una furibonda campagna anti-imprese e porsi così nelle migliori condizioni per continuare ad incassare lautamente su altri tavoli.
Intanto i partner di Governo leghisti, confermando anch'essi un'accentuata sensibilità alle esigenze dell'universo padronale, mostrano insofferenza verso i pur modesti interventi pentastellati e lavorano ad ulteriori annacquamenti. I grillini, alla prova del nove, si confermano rivoluzionari di cartapesta e i leghisti, così agguerriti, baldanzosi e battaglieri quando si tratta di respingere carrette cariche di esseri umani senza proprietà e peso elettorale, scattano sull'attenti al richiamo del capitale. Insomma, tutti gli intrepidi e roboanti anti-sistema partoriti dalla politica borghese si riscoprono immediatamente moderati quando sono in gioco sostanziosi interessi borghesi.
La rivoluzione “populista” può aspettare proprio perché non è una rivoluzione. .