Capitalismo e infanzia “more productive”
Su il manifesto del 21 aprile sono apparsi i dati di una ricerca statunitense che documenta una crescente attenzione e una sempre più pervasiva influenza del mondo delle imprese sulla popolazione infantile: «Dal 1980 al 2004 gli investimenti in pubblicità destinata all'infanzia erano passati da 15 milioni di dollari l'anno a 15 miliardi».
Nel quadro di un ampio fenomeno di «commercializzazione nella vita dei bambini», un altro studio ha rilevato la presenza di pericoli come l'effetto importante del marketing delle industrie alimentari sul problema dell'obesità infantile.
Ma la questione della sottomissione dell'infanzia alle logiche del capitale non riguarda solo la sfera pubblicitaria: «Negli Usa è esplosa la questione dell’abolizione nelle scuole della pausa di ricreazione. La motivazione è stata quella di rendere more productive, più produttivi i bambini».
Anche l'esperienza formativa – eliminato il momento del gioco – si risolverebbe, quindi, nell'attività scolastica di bambini costretti entro rigidi criteri produttivistici. Né questa crescente offensiva della logica capitalistica contro il mondo dell'infanzia è relegabile agli Stati Uniti. Un documento del Joint Research Centre dell’Unione europea varato nel 2016 illustra un sistema di competenze – assunto come riferimento anche dal ministero dell'Istruzione italiano – con al centro la capacità di fare impresa. Fin dalla scuola elementare si dovrebbero così formare gli alunni utilizzando come stella polare le virtù imprenditoriali.
Lo scenario è effettivamente inquietante e torna in mente un episodio de “I mostri” di Dino Risi: il padre che istruisce il figlio bambino alle pratiche di vita più spregiudicate, ad una filosofia amorale e spietatamente utilitaristica, salvo, anni dopo, venire derubato e ucciso dal figlio stesso, così efficacemente formato al più gretto darwinismo sociale.
Salvo che lo schema, nella questione della “commercializzazione” e “imprenditorialità” dell'infanzia, si estende ben oltre i confini del dramma familiare (già nel film di Risi assunto come specchio di un'involuzione sociale) per chiamare pienamente in causa problemi di sostenibilità, scenari di convivenza su scala collettiva, rischi di ulteriore degrado di una dimensione civile e pubblica.
La questione, quindi, è importante e grave. Proprio per questo occorre sgomberare il campo da pericolose illusioni:
- Il mondo dell'infanzia non può essere separato, reso immune dai condizionamenti di fondo della specifica formazione sociale in cui è inserito. Pensare che il capitalismo, a maggior ragione nella sua fase di putrescenza imperialistica, potesse arrestarsi rispettoso di fronte ai confini del regno dell'infanzia significa non aver capito cos'è il capitalismo.
- Illusorio è anche pensare che sia possibile ritagliarsi, entro la società capitalistica, spazi e luoghi in cui procedere alla formazione di uomini “nuovi”, prodotti miracolosi di microcosmi educativi capaci di sfuggire al capitalismo, ai suoi condizionamenti, alle sue pressioni, alle sue influenze, alle sue leggi. Queste piccole isole di superiore umanità, formatesi e sviluppatesi come se il capitalismo non esistesse, come se fosse possibile bandire il capitalismo dalle nostre vite con un atto di volontà scaturito dalla sfera morale dell'individuo, dalla sua personale identità filosofica, sono un'utopia gravida di amare ricadute. Al capitalismo non si sfugge, o lo si accetta o lo si affronta.
L'unica autentica dimensione di libertà, di libera formazione per le nuove generazioni risiede nella lotta contro il capitalismo.
Una lotta rigorosa, fondata su un continuo processo di formazione teorica che consenta di comprendere al meglio il senso storico della lotta, i suoi compiti, le sue necessità.
Solo educandosi nella critica, nella lotta al capitalismo ci si può emancipare dall'educazione del capitalismo.
|