LORO E NOI - 16/03/2018
 
Novità alla bancarella ideologica

Nella sua rubrica su La Stampa (7 marzo), Mattia Feltri vorrebbe inquadrare con poche battute la duplice, ed enorme, questione della crisi della sinistra borghese (socialdemocratica, tradunionista, pcista etc.) e dell'essenza dell'attuale scenario politico.
Sorvoliamo, per decenza, sull'interpretazione della batosta elettorale incassata dal PD e dal suo esponente di punta Minniti come risultato di un aristocratico e crepuscolare radicamento nella sfera culturale e politica di Gramsci e Majakovskij. Si sta parlando del PD (il partito del Jobs Act, della "buona scuola", dell'alternanza scuola-lavoro, del sistema dei voucher più o meno mascherati, dell' "aiutiamoli a casa loro", della rottamazione di ogni vago valore anche solo lontanamente riconducibile alla storia del riformismo socialista) e del suo paladino della riduzione dei flussi migratori a beneficio dei lager "in casa loro".
Qualche parola in più merita la "nuova" geografia politica delineata dal corsivista dello storico quotidiano di casa Fiat: «Oggi la dialettica non è fra destra e sinistra, come si dice da un po', talvolta irrisi, ma fra globalismo e nazionalismo. Chi sta bene è globalista, chi sta male è nazionalista».
Il punto è che, se non si contempla quella che rimane la discriminante fondamentale della società contemporanea - la divisione in classi con interessi contrapposti - non solo, e non da oggi, destra e sinistra sono parole vuote, buone per tutti gli usi, ma anche parole "nuove" come globalismo e nazionalismo acquisiscono per i lavoratori salariati un solo significato reale: la libertà di scegliere periodicamente da quale forza politica padronale (legata a frazioni borghesi più o meno internazionalizzate) essere direttamente torchiati, ingannati e spremuti. Nella società attuale, che rimane una società capitalistica, pur con tutte le sue trasformazioni e sviluppi, il lavoratore salariato non può essere altro che uno sfruttato, una merce esposta alle oscillazioni del mercato, più o meno protetto, più o meno liberalizzato. La precarizzazione crescente di masse a cui, oggi persino più che ai tempi di Marx ed Engels, corrisponde con precisione nella realtà sociale la definizione scientifica di proletariato, va di pari passo con giganteschi processi di accumulazione capitalistica, di arricchimento di borghesie per cui la divisione, la debolezza organizzativa e politica del proletariato, risultano una formidabile garanzia di mantenimento del sistema di dominio sociale. Ogni ragionamento, ogni dibattito su ciò che è o non è attuale, su ciò che cambia o rimane nella struttura socio-economica e nel quadro politico, che ignori questo essenziale dato di fatto, non può che tradursi in una truffa padronale. Se si pretende di rimuovere la realtà della divisione in classi della società capitalistica, ciò che rimane è una vecchia, trita, fuorviante ideologia della modernità, magari declinata nelle forme di moda del "superamento del Novecento", al servizio delle classi dominanti. Sovraniste o globaliste che siano.