Ci si indigna, all'occorrenza.
Le polemiche settembrine tra giornali, giornalacci e politicanti della borghesia italiana non si sono fatte mancare nemmeno l'utilizzo della triste e feroce vicenda di una ragazzina trucidata da alcuni partigiani nel 1945. La nostra formazione politica, rigorosamente classista e internazionalista, ci ha salvato e ci salva dalla mitizzazione di fenomeni storici come la Resistenza, movimento in cui confluirono indubbiamente genuine energie proletarie, animate da sinceri anche se spesso confusi ideali di emancipazione sociale, ma egemonizzato da forze opportuniste come lo stalinismo. Né ci stupisce che tra le fila partigiane vi potessero essere figuri capaci di compiere atti di criminale brutalità, cogliere l'occasione per regolamenti di conti che ben poco avevano a che fare con la militanza antifascista e, all'occorrenza, eliminare i militanti che cercavano di infondere nel movimento partigiano i principi di una autentica coscienza di classe. Ma che l'indignazione di taluni settori dell'ala destra del mondo politico borghese sia del tutto strumentale, funzionale alla riabilitazione dei loro feticci reazionari, lo testimoniano le conclusioni dell'articolo di Libero del 15 settembre: «Se questi sono i partigiani, capiamo chi fieramente decise di combattere dall'altra parte». Come se violenze, sevizie e massacri non siano mancati da parte di «chi fieramente decise di combattere dall'altra parte»! Ma alla base di questa polemica non c'è ovviamente alcun proposito di sviluppare una riflessione seria su una complessa e drammatica fase storica. È solo l'ennesimo capitolo di una sguaiata rissa ideologica in cui gli odierni istigatori di pogrom cercano di porre al servizio delle attuali paure e isterie del grande ventre piccolo borghese della società italiana (capace di infettare con i suoi umori persino ampi settori di proletariato) i cascami di un passato involucro politico del capitalismo nostrano. Quello che ci preme sottolineare è piuttosto il fatto che gli improvvisati difensori dell'infanzia calpestata, i tonanti patrocinatori dei diritti dei minori e gli indignati ad orologeria per i crimini commessi ai danni delle giovani generazioni ad opera di appartenenti a formazioni partigiane, provengono dagli stessi ambienti, dalle stesse redazioni, dalle stesse tribù politiche che offendono quotidianamente nella maniera più vile e spregevole i drammi, le sofferenze, le vite di popoli interi condannati a percorrere le rotte dell'immigrazione. Le stesse coscienze così profondamente ferite dal ricordo della ragazzina uccisa nel 1945 non mostrano analoga sensibilità di fronte ai minori immigrati che giungono in Italia, che soffrono e muoiono nei viaggi della disperazione. Anzi, esultano per i "successi" delle operazioni di rimpatrio, per i respingimenti, per la riduzione del numero degli sbarchi e dell'ingresso di stranieri. E pazienza se questi "successi" significano detenzioni, torture, stupri, anche a danni di minori, nei centri di raccolta, nei lager, in cui vengono spesso costretti i migrati nei Paesi di transito. E pazienza se i migranti "economici" a cui vorrebbero prioritariamente chiudere la porta in faccia sono spesso bambini e ragazzi che cercano di sottrarsi ad una vita di stenti, di abusi, di degrado. Che fine ha fatto, in tutti questi casi, il nobile slancio che gli fa lanciare grida di sdegno per la giovane vittima dei partigiani? È in sostanza una vecchia, e sempre squallida, formula dell'indignazione borghese: vesti stracciate se il dramma della giovane vita spenta dalla violenza può rientrare nell'orrido menù della propria fazione e che i «Bingo Bongo» (dal titolo di apertura di Libero sempre del 15 settembre) di ogni età facciano il piacere di andare a crepare lontano dall'orticello piccolo borghese, che va difeso contro ogni sentimento di umanità.
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