The Lady
Di fronte alla brutale repressione attuata dal Governo birmano contro la minoranza musulmana dei rohingya, il premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, attualmente al Governo, ha ora taciuto, ora negato, ora minimizzato. Sconcerto nella comunità internazionale per la svolta nel segno del più crudo realismo da parte della paladina dei diritti umani, dell'icona di etica politica ed eleganza a cui è stata dedicata persino un'accorata biografia cinematografica. «Perché un’eroina è diventata un’anti-eroina? – ci si chiede su La Stampa (edizione online, 20 settembre) – Come mai prima rappresentava il potere dei senza potere e ora incarna la mancanza di potere di chi sta al potere? Perché è ostaggio di una Costituzione voluta nel 2008 dai generali, che si sono tenuti i ministeri di Interni, Frontiere e Difesa, senza possibilità di verifica del governo civile. Così, ora, il Nobel per
la Pace fa da scudo umano alle critiche mosse contro le azioni dei suoi ex nemici, i generali dell’esercito, il Tatmadaw».
La domanda andrebbe posta in maniera diversa.
Come mai ci si ostina a rappresentare i problemi, le contraddizioni, gli orrori di un sistema come carenze sanabili con l'arrivo nella stanza dei bottoni della persona giusta?
Come mai si persevera nel rappresentare il capitalismo, in tutte le sue latitudini e specifiche conformazioni, come il palcoscenico in cui le doti umane di singoli governanti possono fare la differenza rispetto a problemi e nodi che invece hanno radici profonde negli impersonali, collettivi e determinanti rapporti sociali?
E così avanti con i ritratti cinematografici ripuliti delle lady più o meno di ferro, avanti con il grande leader africano che pacifica un intero Paese con la sua personalità carismatica.
Mister Smith continua ad andare a Washington e a portare risolutive ventate di onestà, purezza, sano e risolutore buonsenso.
Peccato poi che nella nuova nazione arcobaleno i minatori neri vengano ammazzati dalle forze di polizia e non più in quanto neri ma in quanto proletari.
Peccato che la lady birmana dei diritti umani, se vuole avere un ruolo nei rapporti di forza oggettivi del suo Paese, debba arrampicarsi sugli specchi di fronte ai massacri e all'esodo forzato di migliaia di famiglie. Attendersi atti autenticamente rivoluzionari dalle icone del capitalismo significa condannarsi alle più amare disillusioni.
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