Il non credente come ragion d’essere
Eugenio Scalfari in un articolo del 23 luglio dal titolo “Atei militanti ecco perché sbagliate”, pubblicato sulla versione online di Repubblica, si lancia in una critica contro gli atei militanti, rei di essere, al pari se non peggio dei religiosi militanti, eccessivamente assolutistici nella loro visione, poco tolleranti e combattivi.
All’ateo militante si contrappone invece il non credente, meno assolutista, non religioso ma più accogliente verso visioni “metafisiche”: «Non credono a una divinità trascendente, per quanto riguarda l’aldilà suppongono l’esistenza di un Essere e qui si entra in un’ipotesi affascinante che può assumere le forme più diverse».
Lo “storico” intellettuale di sinistra strizza l’occhio a visioni non materialiste, più accomodanti nei confronti di un indistinto spiritualismo, abbracciando concetti come Essere e Divenire (con la “e” e la “d” rigorosamente maiuscole).
L’ateismo di noi marxisti è differente dall’ateismo militante borghese. La nostra visione monista della realtà, per cui esiste soltanto la materia, dona alla materia il giusto ruolo e la giusta forza, la sostanzia con le leggi della dialettica nel divenire storico, abbraccia la scienza nella sua interezza, grazie all’apporto del metodo marxista alle scienze sociali. Ma soprattutto è un ateismo “vivo” che si nutre della lotta di classe e per questo è anch’esso militante, un ateismo “di lotta”, che prende posizione in difesa della classe subalterna contro le classi dominanti.
L’ateismo militante borghese ha avuto una sua funzione storica progressiva, basti pensare all'ateismo dell'epoca dell'Illuminismo, quando la borghesia, classe subalterna, lottava contro il pensiero religioso delle classi feudali predominanti. Funzione che noi marxisti riconosciamo nella sua storicità ma che oggi, privata di quel suo ruolo storico, risulta alla borghesia inutile, in quanto oggi classe dominante, se non indigesta, perché sottintende la lotta di classe, come indigesta appare all’intellettuale borghese Scalfari, più propenso ad abbracciare un eterno presente fatto di non impegno e leggerezza.
Di fronte alla militanza, atea o religiosa, è bene rivolgersi alla non militanza, sciogliersi in un indistinto non credente.
Scalfari termina il suo articolo elogiando l’Io dei non credenti, contro i religiosi ma soprattutto gli atei militanti: «Non credono in un aldilà dominato da una divinità trascendente delle religioni e non credono al nulla nichilista e prepotente degli atei, il cui Io è sostanzialmente elementare; anche se dotato di cultura e di voglia d’affermarsi. In realtà è un Io che non pensa. Un Io che non pensa e non si vede operare e non si giudica. Così è un Io di stampo animalesco. Mi spiace che gli atei ricordino lo scimpanzé dal quale la nostra specie proviene».
Ci fa un po’ specie che gli intellettuali borghesi alla Scalfari oggi rifuggano, così disinvoltamente, ad una parte importante della propria origine illuminista, rinnegando la funzione storica del loro “fu” ateismo. Forse l’origine “animalesca” è troppo “materiale” per questi spiriti liberi.
Che abbraccino pure il loro “Essere” spirituale, noi marxisti ci teniamo ben stretto il nostro “essere” materiale, la nostra militanza, il nostro ateismo, la nostra scienza e la nostra lotta di classe senza la quale non esiste progresso ma soltanto regresso, anche a forme più elementari di un’irosa scimmia.
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