LORO E NOI - 27/07/2017
 
Senza traccia di buonismo

Secondo Avvenire dell’11 aprile, il 60% dei richiedenti asilo si vede rifiutata la domanda. Della stessa opinione anche La Stampa del 1°settembre 2016, secondo la quale coloro che, dopo essere sfuggiti alla fame, alle guerre, alla tratta di esseri umani, alla morte per annegamento in mare, si sono visti negare una speranza di sopravvivenza in Italia, sarebbero stati, nel 2016, il 63% del totale.
Sono questi i numeri di coloro che, dopo essere giunti miracolosamente vivi fino a qui, diventano clandestini fuorilegge da ricacciare nell’inferno dal quale sono riusciti a fuggire. Numeri che confermano come per un migrante, l’iter per potersi garantire una vita (non ci sbilanciamo nel definirla “dignitosa”) in Italia non sia affatto semplice.
Ma La Stampa dell’8 luglio ci racconta che a Torino è successo qualcosa di apparentemente inusuale: cento aziende hanno firmato una lettera con la quale chiedono al sindaco Chiara Appendino, al prefetto Renato Saccone e al presidente della regione Sergio Chiamparino, di metterle nelle condizioni di poter assumere un certo numero di migranti. L’autore dell’articolo precisa: «nella lettera, non c’è traccia di buonismo», e riporta un passaggio della missiva: «Questi ragazzi, hanno imparato un mestiere e sono diventati risorse fondamentali per le nostre imprese. Chiediamo solo di poter proseguire il percorso intrapreso».
Struttura chiama e sovrastruttura, sollecita, risponde: di fronte all’aut aut di «ristoratori, agricoltori, artigiani, commercianti e cooperative», subito la macchina si è messa in moto «e così – spiega l’articolo i primi trenta migranti, che si erano visti respingere le domande d’asilo, hanno ottenuto i documenti necessari per rimanere in Italia».
Trenta migranti, la cui vita ha cominciato ad essere presa in considerazione solamente dal momento in cui sono diventati merce umana di un certo pregio (e a basso costo) a seguito di un processo di formazione professionale.
Trenta esseri umani, la cui vita ha cominciato a valere qualcosa solo nel momento in cui è diventata utile al capitale.
Trenta persone a cui il capitale ha “magnanimamente” concesso di vivere solamente dal momento in cui sono diventati utili a garantire profitti alla crème de la crème della piccola borghesia stracciona.
Anche questa vicenda ci dimostra come i flussi migratori, descritti in maniera fuorviante come invasioni o sciagure, siano in realtà processi perfettamente inscritti nel quadro capitalistico globale. In tali dinamiche rientrano utilmente, per il capitale, tanto quella forza lavoro immigrata che può essere assorbita direttamente nel ciclo produttivo, tanto quelle masse che, rimanendone escluse, svolgono la funzione di esercito industriale di riserva.
In ogni caso, per il capitale e le sue logiche, l’effettivo metro di giudizio per stabilire in che misura riconoscere a queste moltitudini di esseri umani un minimo di diritto di cittadinanza, è rappresentato unicamente dal vantaggio che lo stesso capitale saprà trarne.
Buonismo o non buonismo, sia le necessità alla base dei flussi migratori, sia la loro gestione inumana, sono riconducibili alle altrettanto inumane leggi del capitalismo.