Il nuovo che è avanzato
Dopo l’esito delle presidenziali francesi, con la vittoria di Emmanuel Macron, in Italia i macronisti stanno spuntando come funghi. Ad ennesima riprova della pochezza e della provincialità del dibattito nella politica borghese italiana. L’elenco delle infatuazioni – nella sinistra, nel centro e nella destra del Bel Paese – per il modello di turno incarnato dal leader vincente all’estero, è ormai sterminato e grottesco. Pur tenendo presente questo inveterato vizio italico, descrivere la tenzone tutta borghese che si è svolta in Francia come la quintessenza dell’innovazione politica è qualcosa che non può che suscitare un moto di sorpresa e disgusto in chiunque si incarichi di dare un’occhiata alla sostanza politica delle due opzioni contrapposte. La descrizione del “macronismo” come «un fenomeno che sta riscrivendo la sintassi politica», la raffigurazione del quadro politico francese, in cui campeggiano il giovane alfiere del «neo-riformismo» e la narrazione di Marine Le Pen incentrata sull’«apocalisse», come il contesto storico in cui è maturato il passaggio alla «politica postmoderna» (La Stampa, 9 maggio), ricorda il ricorso alla fraseologia roboante e inconsistente da parte dell’imbonitore da fiera paesana, tutto proiettato ad attrarre l’attenzione sull’apparenza rutilante di qualcosa che in realtà non è né nuovo né entusiasmante. Cosa ci sia di così inedito e strabiliante in un notabile del capitalismo francese che si propone di rendere ancora più precaria la condizione dei lavoratori a vantaggio delle imprese, è un mistero. Come è un mistero quale lezione di modernità possa dispensare l’opposta opzione di chiusura nazionalista e xenofoba. Ma questo è evidentemente il meglio, in termini di innovazione politica, che una classe come la borghesia, che ha storicamente esaurito la sua funzione progressiva, può sfornare. Se questo è il loro nuovo che avanza, allora bisogna concludere che è avanzato ormai da troppo tempo. È scaduto. Può fare, e farà, solo male.
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