LORO E NOI - 30/04/2017
 
Il sempre utile «siamo in guerra»

La perdita o il rifiuto del senso storico, una memoria del passato stravolta dai condizionamenti ideologici del presente, finiscono sempre per favorire una linea politica reazionaria.
Da questo punto di vista, l’articolo di Giampaolo Pansa (La Verità, 26 marzo) sulla gestione dell’ordine pubblico in occasione delle celebrazioni del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma costituisce un caso da manuale. Il pezzo parte da un raffronto storico che, se non ci fossero di mezzo evidenti logiche politiche, potrebbe essere ricondotto solo ad un clamoroso sonno della ragione. L’attentato jihadista commesso a Londra pochi giorni prima (cinque vittime, l’attentatore ha travolto i passanti in auto e accoltellato un poliziotto), insieme agli altri atti terroristici commessi precedentemente in Europa, giustificherebbe un confronto con i bombardamenti tedeschi sulla capitale britannica nella Seconda guerra mondiale, con la conclusione che oggi «va molto peggio di allora»!
Lungi da noi l’idea di ridurre la sofferenza delle vittime degli attentati e delle loro famiglie a mero calcolo numerico, ma scomodare le distruzioni, gli immensi arsenali, gli stermini di massa della Seconda guerra mondiale per sostenere che anche adesso le popolazioni europee si troverebbero «dentro un conflitto», significa scivolare nell’assurdo.
Uno scivolone che noi marxisti non possiamo permetterci: ritenere che oggi in Europa l’imperialismo stia esprimendo il massimo della sua violenza e che le potenze imperialistiche stiano impiegando a pieno regime i propri dispositivi bellici come avvenne nel corso del secondo conflitto mondiale, equivale a sottovalutare in maniera politicamente criminale il nostro nemico, le sue potenzialità distruttive e i compiti che sulla scala storica ci attendono.
Ma in realtà ragionamenti come quello di Pansa possono costituire qualcosa di più (o forse di peggio) di una semplice boiata da bar. Per dirla con Shakespeare: c’è del metodo in questa follia.
E infatti Pansa non perde tempo e va al sodo del suo sillogismo: siamo in guerra, come e peggio che nella Seconda guerra mondiale, in guerra i diritti del tempo di pace vanno limitati o soppressi, le manifestazioni e i cortei di protesta vanno, quindi, vietati.
Spiace che il navigato giornalista non abbia avuto l’audacia di condurre il ragionamento alle sue estreme ma logiche conclusioni: tribunali militari, censura sulla corrispondenza e sulla stampa e fucilazione alla schiena per i disertori e disfattisti.
Per chi ha il giro di vite contro i “sovversivi” sempre pronto nel taschino, è puntualmente comodo proclamare lo stato di guerra e la soppressione di certe libertà “in faccia al nemico”.