LORO E NOI - 31/12/2024
 
La crisi delle auto tedesche

Per anni le case automobilistiche hanno fatto affari in Cina, hanno aperto fabbriche, venduto prodotti, sfruttato il proletariato locale, ottenuto profitti. Oggi il vento sembra essere cambiato, e la Cina, da mercato dalle grandi opportunità è, sempre più spesso, considerata un problema, un competitore strategico che sta colpendo l’industria occidentale. Marchi cinesi come la Byd acquistano quote di mercato interno grazie a veicoli elettrici avanzati sotto il profilo tecnologico e competitivi in termini di prezzo, togliendo crescenti margini di profitto alle società straniere. La crisi automobilistica sta mettendo sotto pressione l’imperialismo tedesco, i suoi gruppi e le sue storiche aziende che devono sopportare, tra l’altro, costi energetici più elevati a seguito della guerra in Ucraina e del venir meno del privilegiato rapporto con la Russia. L’utilizzo americano del conflitto europeo ha come effetto voluto il ridimensionamento della Germania, un ridimensionamento che contribuisce ad aggravare la crisi economica, quella politica, e che rischia, in vista delle imminenti elezioni, di alterare il quadro parlamentare. La Volkswagen, per la prima volta nella sua storia, ha deciso di chiudere tre impianti produttivi, di tagliare migliaia di posti di lavoro e di ridurre drasticamente gli stipendi. La Mercedes-Benz vive una fase delicata che sta producendo una riorganizzazione al vertice del gruppo per i pessimi risultati ottenuti nell’ultimo anno. Anche per la Mercedes il punto debole in relazione al bilancio aziendale è la Cina dove si è registrato un vero e proprio crollo in termini di vendite di vetture elettriche (-31%) nel terzo trimestre del 2024, e una riduzione complessiva del 13%. La ricetta per reagire alla crisi è scontata, i nuovi manager del gruppo stanno lavorando, secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore («Mercedes-Benz: rivoluzione al vertice e maxi tagli per resistere alla crisi», 11 dicembre 2024) a un piano di tagli da 5 miliardi di euro da attuare entro il 2027, un piano che inevitabilmente prevederà ristrutturazioni, licenziamenti, riduzione di salari. Questa è la natura dell’imperialismo, di un sistema che vive sulla contrapposizione tra gruppi, aziende e Stati, di un sistema che non può eliminare le crisi e le guerre dal suo orizzonte, che non può non far pagare al proletariato il costo delle sue contraddizioni.